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Editoriale - La Siria sull’orlo del baratro

Roberto Roggero* - Le formazioni di Hayat Tahrir Al-Sham (HTS) del leader Abu Mohammad Al-Jolani si trovano a meno di 20 km da Damasco. Sono trascorsi alcuni anni, in cui la Siria ha vissuto una situazione di stallo, con parte del territorio sostanzialmente pacificato, e parte ancora attraversato da scontri armati. Adesso diverse formazioni estremiste si sono coalizzate e hanno nuovamente dato inizio a combattimenti su vasta scala, conquistato Aleppo, Hama e pare che anche Homs sia sul punto di essere conquistata dal gruppo fondamentalista Hayat Tahrir Al-Sham e numerose altre formazioni che si sono accodate.

Aleppo, seconda città del Paese, era stata riconquistata otto anni fa dall’esercito del presidente Assad, sostenuto da Russia e Iran, e oggi è nuovamente in mano ai combattenti jihadisti. Le truppe di Damasco sono state colte di sorpresa e non hanno potuto fare altro che evacuare, lasciando Homs (porta del Mediterraneo) alla mercé di HTS che minaccia direttamente le importanti basi navali russe.

La Siria è quindi fra incudine e martello, ovvero fra le truppe regolari (SDF) sostenute da Washington e milizie curde, fra combattimenti nella zona settentrionale e altri che, nel Sud, hanno causato anche la perdita della città di Daraa, che nel 2011 è stato il punto dove ha avuto inizio la guerra civile.

Non pochi analisti internazionali dicono che il Paese è al collasso, e si teme che la situazione possa realmente sfuggire dal controllo e che Assad possa nuovamente ricorrere a metodi drastici per reprimere questa nuova ondata di opposizione.

Nel 2011 i disordini si sono diffusi a macchia d’olio e Assad aveva accusato alcuni Paesi occidentali di sostenere i numerosi gruppi ribelli, primo fra tutti Daesh (Isis).

La guerra che ha devastato la Siria per oltre un decennio, con più di mezzo milione di morti e ben 12 milioni di sfollati interni e altri cinque milioni che hanno invaso i Paesi confinanti, e dopo notevoli sforzi da parte di Mosca e Ankara, che avevano mediato fino al raggiungimento di un accordo, che purtroppo non ha retto. Oggi in campo ci sono anche ribelli filo-turchi, e l'esercito di Assad non può più essere sostenuto da Mosca, completamente assorbita dal fronte ucraino.

Nessuno comunque si faceva illusioni: la guerra in Siria non è mai finita, e quanto sta accadendo ne è la piena conferma. HTS sta avanzando trovando poca resistenza, e dirige verso Saraqib, presidiata da truppe russe, mentre l’Iran non mostra intenzione di farsi coinvolgere come in passato, specie dopo la morte del generale Kioumars Pourhashemi, alto ufficiale della Guardia della Rivoluzione Islamica, ucciso pochi giorni fa ad Aleppo. Intanto, Libano e Giordania hanno chiuso le frontiere.

Aleppo, Hama, Homs. E dopo non rimane che la capitale. Le truppe siriane e le milizie alleate si sono ritirate dalle zone che controllavano nella provincia nord-orientale di Deir Ez-Zor, divisa fra curdi a est dell’Eufrate, e governativi a ovest.

HTS spadroneggia nella provincia di Idlib, dove vivono oltre quattro milioni di persone, sotto l’egida dell’Esercito nazionale Siriano sostenuto dalla Turchia, e di reparti regolari turchi, mentre l’aviazione israeliana continua a bombardare infrastrutture e diverse città, non esclusa Damasco, oggi isolata dal mondo e a serio rischio di cadere nelle mani dei ribelli, a meno che le forze di Assad siano in grado di costituire una linea di difesa abbastanza efficace, scenario per altro sempre meno probabile, visti gli sviluppi degli ultimi giorni, caratterizzati dal disfacimento dei reparti governativi, fatto che le formazioni estremiste hanno chiaramente percepito e stanno sfruttando al massimo. Se il presidente Assad non scende a patti, dovrà dare addio alla poltrona.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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