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Editoriale - La non-violenza non è utopia

Roberto Roggero* - E’ ormai appurato che le veementi condanne verbali e gli infiniti tentativi di spiegazione e giustificazione di molti ministri, primi fra tutti quelli italiani, sono completamente inutili. La pubblica opinione dimostra sempre più apatia e afasia, visto che è anche sempre più problematico manifestare opposizione.

Il motivo principale è che le parole non servono più, anzi, appaiono solo come scuse vuote di significato, perché chi deve comprendere, a quanto pare, comprende solo l’uso della forza, che una volta non era certo l’ultima opzione o l’ultima parola. Quando la diplomazia e la politica veniva esercitata da persone che avevano alle spalle la giusta formazione, l’ultima parola era la capacità di convincere le parti in causa a trovare una soluzione non militare, evitando tante morti innocenti.

In quel contesto ognuno dei contendenti lotta ferocemente per la propria sopravvivenza, e quindi ci si riduce alla sola forza. Pensare diventa del tutto superfluo, perché a quanto pare ha ragione solo chi vince, e che conquista il diritto di imporre un’unica verità di parte.

Se si tenta di ragionare, ci si sente tagliati fuori come se non ci si volesse schierare da una parte o dall’altra. Chi è più forte comanda, il resto sono chiacchiere. E’ il modus del pensiero occidentale, dove non si è mai stati abituati a uccidere per la sopravvivenza.

Insomma, vale ancora la fatica di tentare di interporre un interesse comune, un futuro condiviso, la cooperazione, la forza della pace? Oggi sembra quasi eccessivamente retorico, nonostante si vedano famiglie in lutto, sia palestinesi che israeliane, libanesi, siriane, irachene, yemenite e chi più ne ha, più ne metta.

A che scopo rivolgersi, ad esempio, al Palestinian Center for Study of Non-violence, che ha individuato oltre un centinaio di tecniche non-violente di resistenza (boicottaggi, scioperi, non pagamento delle tasse, disobbedienza civile), agli ulivi centenari che i coloni ebrei sradicavano, ma che durante la notte erano ripiantati in numero raddoppiato, da palestinesi e israeliani? O alla prima Intifada, in cui l’uso della non-violenza era l’85% della resistenza?

Non a caso la non-violenza oggi è praticata sempre meno. Oggi domina la forza insensata, e proprio per questo il compito che la associazione internazionale italo-araba Assadakah, fra molte altre organizzazioni, è impegnata nel dimostrare la assoluta inutilità e pericolosità di tutto ciò che si oppone alla non-violenza.

Il contrario del compromesso non è l’integrità ma il fanatismo. Oggi non si accetta più il compromesso, visto come debolezza. Eppure, se sappiamo con certezza che la giustizia è reale nel cuore delle persone, come tutti abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita, e se si rivalutano le innumerevoli lezioni del passato, la ricerca del compromesso che porti alla pace potrebbe anche diventare meno utopistica. La guerra è la lezione della storia che i popoli non imparano mai abbastanza...

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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