top of page
rroggero5

Editoriale - La inesorabile costosa agonia dell’Onu

Roberto Roggero* - Oggi, 10 settembre, si apre a New York l’assemblea generale delle Nazioni Unite, evento che lascia piuttosto perplessi. Il mondo sta vivendo due grandi guerre in Ucraina e Medio Oriente (e numerose altre in diversi Paesi), oltre ad altri conflitti drammatici come quello in Sudan e a guerre potenziali come quella che minaccia di esplodere nel mar Cinese meridionale. Eppure le Nazioni Unite, la cui missione principale dovrebbe essere disinnescare i conflitti, sono impotenti, come già in passato, e di dimostrazioni c’è una lunga lista. Come fu per l’organismo antesignano, quella Società delle Nazioni nata al termine della prima guerra mondiale, che ha traghettato il mondo in un secondo conflitto mondiale. I primi due tentativi di creare un governo internazionale, Società delle Nazioni e Onu, sono stati il prodotto di due guerre mondiali. La posta in gioco dei conflitti attuali è nuovamente la creazione di un rapporto di forze globale, tra gli occidentali ormai sulla difensiva, le potenze autoritarie in azione e un sud del mondo che reclama il suo posto al tavolo.

Il motivo è chiaro: la paralisi del Consiglio di Sicurezza, organo supremo dell’organizzazione in cui cinque Paesi (Cina, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Russia) dispongono di un diritto di veto creato nel 1945 come un’assicurazione sulla vita. Posto che i suddetti Parsi sono i primi produttori ed esportatori di armamenti. Se gli europei non ne abusano, lo fanno le altre grandi potenze, per proteggere gli alleati o, nel caso della Russia, per coprire i propri crimini in Ucraina. Dimenticatevi dunque il Consiglio di sicurezza fino a quando le due guerre che lo riguardano direttamente o indirettamente andranno avanti.

L’assemblea generale è un’altra cosa. È l’istituzione al centro della democrazia, che tocca ogni Paese del mondo. È qui che tutto dovrebbe decidersi, ma c’è un problema: il mondo se ne frega di quello che succede all’assemblea, le cui risoluzioni non hanno valore vincolante. L’assemblea generale parla, nessuno ascolta.

C’è stato un tempo in cui i capi di stato si presentavano regolarmente all’appuntamento annuale di settembre, non per conoscere l’esito delle votazioni ma per ascoltare le dichiarazioni e confrontarsi tra loro dietro le quinte. Ma oggi, in un contesto di enorme tensione, la diplomazia dei corridoi ha perso interesse.

Dopo la seconda guerra mondiale le Nazioni Unite hanno ricevuto maggiori poteri, tra cui la possibilità d’imporre sanzioni e inviare i Caschi Blu, ma oggi siamo costretti a constatare che anche in questo caso non ha funzionato. O meglio, non è stato fatto, sebbene lo Statuto Onu consenta il diritto, in casi estremi, di imporre la pace. Dovrebbe essere così per Ucraina, Gaza, Cisgiordania, Afghanistan, Myanmar, Yemen, Sudan, e per tutti i Paesi la cui popolazione inerme sta subendo conseguenze devastanti.

Il sistema immaginato nel 1945, senza la partecipazione dei paesi colonizzati e di quelli sconfitti, con la protezione dei più forti attraverso il diritto di veto, ha creato solo l’ennesima impasse carica di pericoli e rischi di escalation fuori controllo.

Da queste tensioni dirette e indirette nascerà il nuovo ordine internazionale? Viene da chiedersi come sarà il mondo di domani, quello che verrà dopo l’Onu e le guerre che nessuno, neanche l’Onu, è in grado di fermare, in diversi casi perché non le si vuole fermare. Da ricordare il filosofo cinese Sunt-Tzu, vissuto cinque secoli prima di Cristo: una guerra si fa o non si fa, si combatte, si vonce e si perde se conviene. In sostanza, "cui prodest?".

È una domanda che dovrebbe essere al centro dei nostri pensieri e che invece, purtroppo, è totalmente assente dai dibattiti politici. (*Direttore responsabile Assadakah News)

Comments


bottom of page