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Editoriale - L’informazione nascosta di Israele

Roberto Roggero* - I giornalisti esteri non possono entrare nella Striscia di Gaza, questo è un fatto. Anche la Corte Penale Internazionale ha dichiarato che è un fatto senza precedenti, e ulteriore violazione dei diritti umani: il diritto all’informazione.

La guerra della Striscia di Gaza è la più documentata della storia. Più del Vietnam o delle guerre del Golfo. Mai come oggi c’è una copertura così diffusa e condivisa. Chiunque ha la possibilità di vedere i video che descrivono la realtà di Gaza, e questa è la grande novità che accompagna uno dei momenti più drammatici del nostro tempo. Una storia che sta accadendo e che si sta scrivendo sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. Eppure, Israele continua a giustificare o negare i fatti, nonostante migliaia di prove documentate che già basterebbero a scrivere la cronaca di quanto sta accadendo.

I massacri vengono sminuiti, altre volte vengono semplicemente indicati come “danni collaterali di necessarie operazioni militari”. Più spesso invece, tutto ciò che viene documentato e registrato, compreso il numero delle vittime, viene messo in discussione da Netanyahu e dal suo governo, in quanto “affermazioni divulgate e controllate da Hamas” e per questo non attendibili. Se è così, perché Israele continua a bloccare l’ingresso dei giornalisti nella Striscia di Gaza?

A causa del controllo dell’IDF sui valichi di frontiera, reso ancora più oppressivo dopo la presa di Rafah, nessun reporter straniero può mettere piede nella Striscia senza permesso e senza una scorta della delegata sezione dell’IDF. Un divieto che non solo danneggia la capacità di mettere insieme reportage indipendenti, ma anche il diritto della comunità internazionale di sapere cosa succede a Gaza.

I soli reporter che ottengono l’autorizzazione, devono attenersi rigidamente a quanto imposto dalle forze israeliane, e ciò non può in nessun modo costituire un’alternativa all’accesso indipendente all’informazione. A tal proposito, due mesi fa, oltre 70 organi di informazione – tra cui New York Times, BBC, CNN, Associated Press, Agence France-Presse, Guardian e Washington Post, hanno firmato una lettera indirizzata a Tel Aviv “ribadendo la richiesta di un accesso illimitato dei media internazionali nella Striscia” e sottolineando come le attuali restrizioni “possano alimentare la disinformazione”. Fatto, peraltro, denunciato paradossalmente dal Governo israeliano stesso. Tuttavia, Israele si è dimostrato sordo a qualsivoglia appello da parte dei media, scegliendo il totale blackout informativo.

Sebbene le restrizioni alla stampa siano comuni in guerra, il CPJ, ovvero il Comitato per la protezione dei giornalisti, ha dichiarato che “il divieto totale ai giornalisti di entrare a Gaza è senza precedenti nei tempi moderni”. Nessuno entra e nessuno documenta liberamente e i giornalisti israeliani non fanno eccezione. Si legge, sempre nella lettera del CPJ, come “dare un accesso limitato ai reporter durante tour approvati e guidati dall’IDF non è sufficiente per fare informazione”. Alla luce di quanto riportato, appare quantomeno stridente che in tutto il mondo, tranne che in Israele, “i giornalisti abbiano potuto riferire dalle prime linee in quasi tutti i principali conflitti degli ultimi tre decenni, dall’Ucraina al Rwanda”.

Cosa nasconde Israele? Come trae vantaggio dall’impedire ai giornalisti di entrare nella Striscia di Gaza?

Nonostante questo divieto, che suona come una censura, e nonostante il fatto che dal 7 ottobre siano stati uccisi 165 giornalisti, le notizie dalla Striscia di Gaza arrivano e corrono veloci grazie al coraggioso lavoro dei reporter palestinesi, fra i quai il corrispondente di Assadakah News, gli unici che riescono a far vedere al mondo quanto accade. Secondo l’IDF tre sarebbero stati affiliati ad Hamas; se anche fosse vero (e non lo è) gli altri 162 sono stati uccisi per il loro lavoro, a meno di credere davvero alle morti accidentali… Ma un conto è che quelle immagini circolino sul web o sui mezzi di informazione arabi o non mainstream, altro che vengano riportate dai media di sistema, che creano la narrazione per il grande pubblico occidentale. Ed è a questo che serve la censura israeliana. Le immagini che ci arrivano via internet sono crude e spietate, certo. Del resto, non potrebbe essere altrimenti perché non c’è nulla di umano in una mattanza, spacciata per guerra al terrorismo, che non ha risparmiato, tra gli altri, oltre 16mila bambini e 11mila donne.

(* Direttore responsabile Assadakah News)

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