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Editoriale – Iran-Israele: prospettiva da incubo

Roberto Roggero* - Appare ormai evidente che, dal punto di vista del governo sionista israeliano, è stato oltrepassato il punto di non ritorno e adesso Netanyahu non può più tirarsi indietro, pena la morte politica e l’affrontare la giustizia per i diversi scandali in cui è coinvolto.

A sua volta, la Repubblica Islamica dell’Iran si trova sempre più spinta verso scelte obbligate, in una situazione ogni giorno più difficile da gestore, per non cadere nella trappola israeliana che la vuole trascinata in una guerra aperta, con conseguente intervento americano. Una prospettiva semplicemente da incubo, per cui ci si chiede se veramente il premier israeliano si stia rendendo conto di dove sta conducendo il mondo.

Una grande incognita di una guerra pronta a espandersi dal confine israeliano-libanese fino all'Iran, e da lì a tutti i Paesi della Regione: dalla Siria, allo Yemen e all'Iraq, comprendendo ovviamente Cisgiordania e Striscia di Gaza, dove Hamas non è stato sconfitto come volevano i progetti israeliani.

Un Israele convinto di aver davanti un'occasione da non perdere, specialmente dopo i duri colpi inferti a Hezbollah, ma con la certezza che anche in Libano non sarà certo una passeggiata. Hezbollah non sarà sconfitto, come non lo sarà Hamas, in quanto organizzazioni abituate alla Resistenza e al martirio dei propri combattenti e capi, che per altro hanno già designato i propri successori proprio in considerazione di una probabile morte in battaglia. Un’occasione che si ripete, nonostante la dura lezione impartita proprio da Hezbollah, quando nel 2006 ha saputo difendere con successo la propria terra.

Come sostiene Benjamin Netanyahu e come concordano il ministro della Difesa, Yoav Gallant, e il capo di stato maggiore, generale Herzi Halevi, sprecare l'occasione di cancellare la struttura militare di Hezbollah, eliminandone il peso politico, e di conseguenza la di stato nello stato, significherebbe dare un calcio alla provvidenza. Ma questo significa che l'operazione di terra cambia volto. Non sarà più una penetrazione limitata ai 30 km di territorio, dal confine al fiume Litani, e non punterà soltanto a creare una zona cuscinetto per allontanare i miliziani sciiti dal confine.

Lo stato sionista occupante ha chiare intenzioni di effettuare operazioni su larga scala, mirate a colpire i territori meridionali, la Valle della Bekaa, Beirut e le zone al confine con la Siria, dove Hezbollah ha i propri punti forti. Con tali presupposti, purtroppo non potrà essere una cosa breve né di limitato respiro, anche perché di fronte a tanta determinazione è difficile illudersi che l'Iran possa stare a guardare, e infatti pare che Teheran abbia già allertato un certo numero di truppe da inviare in Libano e Siria a sostegno degli alleati.

Sia Netanyahu, sia la Guida Suprema Ali Khamei sanno di doversi muovere, e soprattutto il premier israeliano, considerando anche gli enormi costi della guerra che ha scatenato, oltretutto stando ben attento a non deludere oltre misura Washington, perché in caso venga eletta Kamala Harris alla Casa Bianca, dovrà rinunciare ai 14 miliardi di dollari in aiuti militari autorizzati ogni anno. Da considerare poi che allo Studio Ovale potrebbe anche tornare un tale Donald Trump, pronto a sostenere Israele e a mettere fuori gioco per sempre i vertici della Repubblica Islamica. Nell’attesa restano, per il momento, guerra, caos e la morte di migliaia di civili innocenti.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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