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Editoriale - Diritto internazionale valido quando fa comodo

Roberto Roggero* - La maggioranza di governo glissa (non troppo abilmente e tuttavia senza vergogna) su un argomento oggi all’attenzione internazionale: l’esecuzione del mandato della Corte Penale Internazionale (CPI) per l’arresto del premier israeliano Benjamin Netanyahu, così come è avvenuto per diverse altre personalità sulle quali, in passato, è stato emesso lo stesso giudizio, ovvero capi di governo, dittatori o presidenti riconosciuti responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

In questo contesto, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, continua a parlare di rispetto del diritto internazionale ma esclude l’eventuale arresto perché “le immunità si devono rispettare”, il tutto in barba alla Convenzione che ha istituito la Corte Penale Internazionale, firmata proprio a Roma. Tenere il piede in due scarpe è un’arte tutta italiana: rispetto della CPI (e quindi del diritto internazionale) ad eccezione di ciò che conviene o non conviene. Ma è presto detto: non è possibile non accogliere una eventuale visita ufficiale del premier israeliano, quindi si risolve tutto con un apposito salvacondotto. Botte piena e moglie ubriaca.

In Polonia, per esempio, è già tutto predisposto: Varsavia fa parte dei Paesi che hanno riconosciuto la CPI, e in previsione di una eventuale presenza di Netanyahu per la Giornata della Memoria, e la commemorazione della liberazione del lager di Auschwitz, il salvacondotto è già pronto… Chissà che cosa succederebbe se si dovesse stabilire una giornata per la commemorazione del “lager di Gaza…”.

Senza andare ad analizzare quello che riguarda la Polonia, restiamo in Italia: a questo punto non è neanche più il caso di definirsi “paladini del diritto internazionale”, e non solo per questa occasione, visto che esistono diversi altri esempi di ambiguità e mancata credibilità internazionale, e solo per quanto riguarda il discorso Gaza-Israele, e nemmeno illudersi di credere in un fantomatico ordine mondiale all’insegna della cooperazione. Piuttosto vige la legge dei “due pesi e due misure”, perché si offre una visione distorta: la lavagna rimane divisa in buoni e cattivi, dove per i primi le stesse regole non valgono come per i secondi, ad esempio per come viene considerato fra i “cattivi” Vladimir Putin (incriminato il 18 marzo 2023), o il “buono” Volodymyr Zelenski, o l’ancor “più buono” Benjamin Netanyahu (incriminato il 21 novembre 2024), come da direttive provenienti da Washington. Di certo, per fare finire una guerra, che sia in Ucraina o in Medio Oriente, la scelta peggiore è quella di continuare a fornire armamenti, e in molti casi a entrambe le parti in lotta…

Il ministro Tajani, per altro, dimostra di non essere nemmeno tanto abile nell’arrampicata sullo specchio, adducendo come giustificazione che “la posizione italiana è figlia di un accordo raggiunto a novembre al G7 di Fiuggi, presieduto dall’Italia e ispirato dalla Francia di Macron, con l’intento di mantenere Israele al tavolo delle trattative per Gaza”, ovvero: ignorare le giurisdizioni internazionali quando non fa comodo, quindi legittimare l’Italia che si allinea a USA, Russia e Israele, che non hanno mai ratificato lo Statuto di Roma, facendo finta di dimenticare di averlo firmato e ratificato. Esempio fin troppo evidente di doppia lettura e doppia interpretazione del diritto internazionale che si adotta solo quando fa comodo…

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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