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Editoriale - CPI, la sentenza che divide l'Europa

Roberto Roggero* - La recente sentenza della Corte Penale Internazionale (CPI) nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant ha sollevato un aspro dibattito internazionale. Il mandato d’arresto emesso nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha messo in luce le tensioni esistenti tra giustizia internazionale e politica. La CPI, istituzione creata per perseguire crimini di guerra e contro l’umanità, ha il compito di garantire che le responsabilità siano attribuite in modo equo e imparziale. Tuttavia, la percezione di una politicizzazione della giustizia è un tema ricorrente, specialmente quando si tratta di conflitti così complessi come quello israelo-palestinese.

Le dichiarazioni del governo italiano

La premier italiana, Giorgia Meloni, ha espresso chiaramente la posizione del governo italiano riguardo alla sentenza: “Non è possibile equiparare le responsabilità dello Stato di Israele con quelle di Hamas”. Suona strano dalla rappresentante di un governo riconosciuto ormai maestro nell’uso di due pesi e due misure, che mentre ospita l’ambasciata ufficiale dello Stato di Palestina, con tanto di rappresentante diplomatico, non riconosce lo Stato di Palestina, e che mentre partecipa al programma Food for Gaza per sostenere la popolazione palestinese, conclude contratti miliardari per la fornitura di attrezzature militari destinate a Israele, usate per eliminare quelle stesse vite. Per il resto, nella storia passata non è mai successo che le iniziative di Hamas abbiamo causato la morte di oltre 40mila persone e il ferimento di più di 80mila. Certo, in questi termini Israele e Hamas non solo neanche lontanamente paragonabili.

Le accuse per gli israeliani sono di crimini di guerra per “uso della fame come arma, ostacolo all'assistenza umanitaria e attacchi intenzionali contro civili.

Il nostro paese fa parte delle 124 nazioni che riconoscono la Corte penale internazionale. L'arresto è obbligatorio, ma in realtà, soprattutto per il premier Netanyahu, il governo può invocare l'immunità del capo del governo in carica. Una norma del diritto internazionale che prevede di non eseguire arresti o coercizioni per capi di Stato, di governo e ministri degli Esteri. Per Gallant, che era ministro della Difesa e ora non ricopre più la carica, la decisione è più ardua.

Quindi, se Netanyahu e Gallant mettessero piede in Italia, dovranno obbligatoriamente essere arrestati, poi sarà la Corte d'Appello competente a decidere sull'estradizione, magari mettendolo subito in libertà con obblighi di non espatrio. Una volta presa la decisione il ministro della Giustizia può opporsi alla consegna alla CPI.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha chiarito che la decisione, di carattere politico, verrà presa dal presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, in accordo con la Farnesina. Il governo vuole leggere con attenzione le carte dell'accusa, temendo un uso politico della giustizia internazionale, e punta ad adottare una posizione comune con i partner internazionali. Tajani solleverà la questione lunedì e martedì, alla riunione dei ministri degli Esteri del G7 a Fiuggi.

Le reazioni internazionali

Le reazioni internazionali alla sentenza della CPI sono state varie. Da un lato, i sostenitori che vedono nel mandato d’arresto un passo necessario per garantire la responsabilità dei leader politici, in caso di crimini di guerra; dall’altro, critiche che accusano la CPI di essere politicamente influenzata, quindi di bassa credibilità. Le prossime settimane saranno cruciali per osservare come si evolverà la situazione e quali misure verranno adottate dalla comunità internazionale. La posizione dell’Italia, in particolare, sarà fondamentale nel contesto del G7, dove si discuterà non solo della sentenza, ma anche delle strategie per affrontare le crisi globali e promuovere pace e stabilità.

Diversi Paesi arabi hanno chiesto l’immediata applicazione della sentenza, mentre non sorprende che Washington abbia contestato i mandati di arresto, definendoli “oltraggiosi”, mentre, in Europa, Germania e Francia sono attendisti a differenza della Spagna, che ha pure riconosciuto la Palestina. I Paesi Bassi, dove ha sede la Corte, sono pronti ad eseguire il mandato d'arresto. Su questa linea anche il premier inglese Keir Starmer. L’Irlanda ha fatto sapere che rispetterà i mandati d’arresto, mentre l’Ungheria di Viktor Orbán ha annunciato che inviterà l’omologo israeliano a Budapest malgrado il mandato. Il commissario uscente dell'Unione Europea, Josep Borrell, ha sottolineato che anche gli Stati che hanno firmato la Convenzione di Roma, quindi sono obbligati a rispettare la decisione della Corte. Non è una decisione facoltativa, ma una legge sottoscritta e accettata.

Per la UE, quindi, la decisione della CPI è motivo di divisione. I mandati di arresto sollevano la questione di come i funzionari europei dovrebbero interagire, in Israele o al di fuori del proprio territorio. Di fatto, è la prima volta che la Corte emette un mandato per il capo del governo di un importante alleato occidentale, e ad oggi rappresenta il più pesante coinvolgimento della Corte nel conflitto Hamas-Israele. I mandati di arresto significano che tutti gli stati membri della CPI, ovvero anche e soprattutto gli stati membri dell’UE, sono obbligati ad arrestare gli individui indicati, se entrano nel territorio degli stati membri.

Il mandato di arresto contro Netanyahu porterà una intensa attenzione politica sulla CPI, perché i Paesi europei dovrebbero chiarire che sostengono pienamente la Corte come organo giudiziario indipendente, e confermare che eseguiranno i mandati di arresto sul proprio territorio nazionale. L’adesione alla CPI implica l’evitare qualsiasi dichiarazione che indebolisca la Corte o ne metta in dubbio la legittimità, in particolare dopo il sostegno al mandato di arresto della CPI del marzo 2023 contro il presidente russo Vladimir Putin.

È probabile che la sentenza della CPI generi profonde critiche anche dal presidente americano rieletto, Donald Trump, il quale, nel suo primo mandato, aveva emesso sanzioni contro i funzionari della Corte dopo le indagini effettuate sulle azioni commesse dalle truppe americane in Afghanistan, e già aveva annunciato ripercussioni se la CPI avesse indagato sui crimini di guerra a Gaza.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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