Paola Sireci – Un prezzo così alto del petrolio non si era visto dal 2008, anno che ha dato il via alla crisi economica più devastante per i mercati mondiali dopo la depressione del 1929. Il motivo? Il divieto di importazione di petrolio russo da parte degli Stati Uniti e gli alleati europei, nella (illusoria) speranza che il greggio iraniano torni rapidamente nei mercati globali, impresa ardua a causa dei ritardi e dello stato di stallo dell’accordo sul nucleare, avviato nel 2015 e che coinvolge molte potenze mondiali, molte delle quali oggi in conflitto con la Russia.
La Russia, infatti, è preoccupata che le sanzioni cui è sopposta dall’inizio dell’invasione ucraina, vadano a toccare e influenzare i suoi rapporti commerciali con Teheran, prima nemica degli Stati Uniti a causa delle sanzioni subite sull’accordo nucleare.
Il ministro degli esteri russo ha dichiarato, infatti, che le sanzioni occidentali imposte sono diventate un ostacolo per l’accordo nucleare iraniano ma il segretario di stato statunitense Antony Blinken, dal canto suo, ha affermato che “Le sanzioni che sono state messe in atto sulla Russia non hanno nulla a che fare con l'accordo nucleare con l'Iran e le prospettive di tornare a quell'accordo”, mentre avvia, nello stesso tempo, trattative commerciali con altre potenze fornitrici di petrolio come Venezuela e Iraq per potenziali accordi di importazioni petrolifere, in assenza di risorse russe.
L’ex Unione Sovietica detiene il primato di esportazione mondiale di greggio e prodotti petroliferi, con esportazioni di circa 7 milioni di barili al giorno, ovvero il 7% dell'offerta globale. L’imposizione di sanzioni economiche in suo favore, non graverebbe solo alla Russia, ma anche a tutti i Paesi importatrici di petrolio russo che, stando alle analisi della Bank of America, assisterebbero a un’impennata dei costi al barile, raddoppiati rispetto gli importi attuali. L’invasione dell’Ucraina sta diventando una guerra del petrolio in cui è innegabile che la Russia abbia il coltello dalla parte del manico. Sta agli alleati europei e Stati Uniti capire se cedere alle minacce russe in termini di approvvigionamenti petroliferi, oppure se ricorrere ad aiuti esterni che permettano di mantenere alta la concorrenza con la Russia nella corsa al primato di detenzione dell’Oro nero.
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