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Droni italiani in Cina

(Lorenzo Di Muro) - L’Italia avvierà ufficialmente accertamenti sull’acquisizione di Alpi Aviation, compagnia friulana produttrice di droni, da parte di aziende controllate dal governo della Repubblica Popolare Cinese. Accertamenti che, qualora confermassero una cessione illegale di tecnologia bellica a paesi extracomunitari, potrebbero portare all’annullamento dell’atto di vendita. Perché conta: Conferma l’obiettivo del governo Draghi di recuperare credibilità presso l’attuale amministrazione statunitense di Joe Biden, archiviando anni controversi in cui l’Italia ha aderito alle nuove vie della seta ed è rimasta invischiata nella guerra fra gli apparati Usa e l’allora presidente Donald Trump.

Oggi la priorità di Roma è dar prova di essere completamente affidabile nel contenimento tecnologico della Cina. Come sottolineato dai mezzi di informazione anglosassoni, l’acquisizione di Alpi mette in luce la tattica di Pechino di appropriarsi di conoscenze e tecnologie all’interno della sfera d’influenza americana usando la leva finanziaria. L’iniziativa del governo Draghi è in linea con la retromarcia sulle vie della seta e con l’uso del potere di respingere gli investimenti stranieri (golden power). E pure con la sintonia sbandierata a ogni incontro bilaterale, dal G20 a Roma alle visite negli Usa dei ministri Marta Cartabia e Giancarlo Giorgetti e del presidente della Camera Roberto Fico.

A rilevare è anche la tempistica. L’acquisizione di Alpi Aviation risale al 2018, l’inchiesta della Guardia di finanza ad agosto 2021. L’iniziativa del governo arriva solo ora. Proprio mentre continuano a rimbalzare dall’America notizie e inchieste sul cosiddetto “Italygate”. Si tratta di una teoria del complotto secondo cui le presidenziali statunitensi del 2020 sarebbero state truccate hackerando i satelliti dell’azienda italiana Leonardo. Ipotesi assurda, ma che Trump ha seriamente provato a dimostrare prima di uscire di scena. Fino a muovere alcune leve nel nostro paese. Non sarebbe granché, se non fosse che la nostra classe dirigente è già finita nel mirino delle burocrazie washingtoniane per aver fatto da sponda all’allora presidente degli Stati Uniti. Come quando nel 2019 al procuratore generale dell’epoca, William Barr, venne dato accesso ai vertici dei servizi segreti italiani per indagare sulle origini del “Russiagate”. Roma ritiene parimenti importante ribadire che la collaborazione con il mondo trumpiano e allontanarsi dalla Cina.

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