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Dossier Libano - Attacco a Hezbollah, ciò che si sa

Assadakah Beirut - Dove sono stati prodotti i cercapersone esplosi nelle mani dei combattenti di Hezbollah? La società taiwanese Gold Apollo, il cui marchio compare sui cercapersone esplosi, ha fatto sapere tramite una nota che i dispositivi sono stati prodotti da un'azienda con sede a Budapest, in Ungheria, la Bac Consulting KFT. "Secondo l'accordo di cooperazione, autorizziamo Bac a utilizzare il nostro marchio per la vendita di prodotti in regioni designate, ma la progettazione e la produzione dei prodotti sono di esclusiva responsabilità di Bac", ha precisato Gold Apollo.

Il presidente e fondatore della società taiwanese, Hsu Ching-Kuang, ha detto in un briefing con i media che la sua azienda ha allo stato da tre anni un accordo di autorizzazione all'utilizzo del suo marchio con la compagnia ungherese. "Questa azienda ha collaborato con noi e rappresenta molti dei nostri prodotti - ha detto Hsu. Volevano anche realizzare cercapersone e mi hanno chiesto se potevano usare il marchio della nostra azienda". L'ipotesi più accreditata, quindi, è che il materiale esplosivo sia stato inserito nei cercapersone prima della loro consegna e del loro utilizzo in una sofisticata infiltrazione nella catena di fornitura.

La Bac Consulting ha però negato di aver prodotto i cercapersone esplosi, dichiarando di aver svolto solo una funzione di mediazione. Cristiana Barsony Arcidiacono, ad della società ungherese, intervistata dal giornale locale telex.hu, ha confermato di aver collaborato con la società di Taiwan Gold Apollo, ma ha negato di aver prodotto i dispositivi. "Non sono stata io a fabbricare i cercapersone - ha detto l'ad - sono solo una mediatrice. Credo abbiate frainteso questa cosa", ha poi aggiunto riferendosi alle informazioni fornite a Taiwan dalla Gold Apollo.

Il New York Times: "Israele ha prodotto cercapersone tramite società di facciata" Secondo quanto riportato dal New York Times, la Bac Consulting, che avrebbe fornito migliaia di cercapersone esplosi martedì in Libano durante un attacco contro i membri di Hezbollah, è una società di facciata israeliana. Tre ufficiali dei servizi segreti informati sull'operazione hanno riferito alla testata statunitense che sono state create almeno altre due società fittizie per nascondere il fatto che i produttori dei cercapersone erano ufficiali dei servizi segreti israeliani. I dispostivi hanno iniziato a essere spediti in Libano nel 2022, ma la fornitura è aumentata quando il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha denunciato l'uso dei telefoni cellulari come pericoloso dal punto di vista operativo.

Gli agenti israeliani, sempre secondo il New York Times, avrebbero inserito nei cercapersone della pentrite, uno degli esplosivi più potenti finora prodotti, allacciata alle batterie dei cercapersone per amplificare l'esplosione. Poi, a partire dal 2022, sarebbe iniziata la fornitura per Hezbollah, rafforzata dopo che Nasrallah quell'anno ha vietato agli operativi l'uso del cellulare. I dispositivi, quindi, avrebbero funzionato normalmente, in alcuni casi, per due anni.

Le ipotesi dei media: attacco orchestrato dal Mossad Secondo la ricostruzione dei media arabi rilanciata dal quotidiano israeliano Haaretz, il Mossad avrebbe installato esplosivo nei cercapersone esplosi prima che questi venissero consegnati all'organizzazione Hezbollah. Sky News Arabia ha scritto che l'intelligence israeliana avrebbe messo una quantità di Petn (un materiale altamente esplosivo) tra le batterie dei dispositivi radio e li ha fatti esplodere aumentando la temperatura delle batterie da lontano. Il Wall Street Journal ha riferito che alcuni membri di Hezbollah avrebbero sentito i loro cercapersone surriscaldarsi e li avrebbero eliminati prima della serie di esplosioni. Una fonte della sicurezza libanese citata da Al Jazeera ha affermato che il peso dell'esplosivo inserito in ogni dispositivo era inferiore a 20 grammi e che i cercapersone fatti saltare in aria erano stati importati cinque mesi fa.

Attacco a Hezbollah: le ipotesi dell'esperto Cosa può essere accaduto ai cercapersone? Paolo Dal Checco, consulente informatico forense, sul Corriere della Sera, ipotizza due scenari: "Un'ipotesi è che i cercapersone fossero predisposti con una carica esplosiva tale da poterli autodistruggere in caso di perdita o furto, ferendo anche l'eventuale ladro". E che gli utilizzatori ne fossero a conoscenza. Un'altra è che gli utenti ne fossero del tutto ignari e che "questa funzionalità sia stata pensata per colpire in manierata mirata specifici utilizzatori". L'esperto ricorda il caso del 1996 in cui lo Shin Bet, un'agenzia di intelligence israeliana, uccise l'"ingegnere" Yahya Ayyash, responsabile di attentati kamikaza e preparatore di bombe, inserendo una micro-carica nel suo cellulare.

Si possono fare esplodere i cellulari da remoto? È possibile alterare da remoto uno smarthpone così come accaduto con i cercapersone? Sempre dalle pagine del Corriere della Sera, Dal Checco risponde così: "Le batterie al litio dei cellulari, ma anche quelle degli elettrodomestici, così come dei monopattini e delle auto elettriche, sono sì soggette a incendi ma difficilmente possono esplodere in maniera dirompente". Dunque, la possibilità che i nostri telefonini possano essere fatti esplodere da remoto sembra "altamente improbabile , a meno che non siano stati predisposti per farlo inserendovi una carica esplosiva".

L'attacco ai militanti di Hezbollah in Libano e in Siria con l'esplosione simultanea di migliaia di cercapersone sta scatenando diversi quesiti e dubbi. C'è davvero Israele dietro tutto? I miliziani hanno accusato lo Stato ebraico della "totale responsabilità" per le esplosioni che hanno provocato almeno 20 morti e migliaia feriti. Tel Aviv per il momento non ha rivendicato l'attacco ma la tensione resta alta e la paura di una nuova guerra in Medioriente aleggia sempre più. Su come e da chi sia stata attivata la carica esplosiva è in corso un'indagine. In attesa di sviluppi, ecco ciò che sappiamo finora e le ipotesi sul tavolo.

Non c’è solo la Striscia di Gaza, ma anche il fronte nord. E Israele lo sa bene. Decine di migliaia di sfollati israeliani vogliono rientrare nelle loro case, così come altre migliaia di libanesi che vivono oltre la Blue Line che separa i due Paesi. Ma il pericolo di un’escalation incontrollata è in agguato. E la scelta di Benjamin Netanyahu di inserire ufficialmente il rientro degli abitanti del nord come un obiettivo della guerra (alla pari della distruzione di Hamas), conferma che per il governo si avvicina il momento delle scelte. L’IDF è in allerta da tempo, così come l’intelligence. E ieri, c’è stato un nuovo inquietante indizio. Una serie di esplosioni che hanno coinvolto i cercapersone appartenenti agli affiliati di Hezbollah, la milizia sciita libanese che da quasi un anno ha ingaggiato una guerra “a bassa intensità” con Israele.

A mezzogiorno migliaia di ricetrasmittenti sono esplose nello stesso momento dopo essersi surriscaldate all’improvviso (probabilmente attraverso uno script che ha colpito le batterie al litio, o esplosivi inseriti nei cercapersone e attivati via cyber). Un episodio che ha fatto subito pensare alla mano del Mossad. Le scene in Libano e Siria sono apparse subito drammatiche. Migliaia di persone si sono accasciate a terra sanguinanti per l’esplosione dei loro “pager”. Per il governo, sono almeno 2800 i feriti. E secondo il ministro della Salute libanese, Firas al-Abyad, i morti sono almeno dieci. Tra questi anche una bambina di dieci anni. A rimanere coinvolto nelle deflagrazioni è stato anche l’ambasciatore iraniano a Beirut, Mojtaba Amani, il quale ha riportato solo “una ferita superficiale”. Sette invece i feriti in Siria, con le esplosioni che hanno colpito soprattutto il quartiere di Seyedah Zeinab, roccaforte sciita di Damasco.

Secondo il Wall Street Journal, i dispositivi erano stati forniti di recente da Hezbollah ai propri miliziani. Una decisione che era stata presa ancora prima dell’attacco con cui è stato ucciso l’alto comandante Fouad Shoukr, individuato proprio grazie all’introduzione di Israele nelle reti di comunicazione del Partito di Dio. Per ovviare ai buchi nella rete di sicurezza, Hassan Nasrallah e i suoi consiglieri già a febbraio avevano ordinato ai membri del gruppo di evitare i telefonini e di comunicare attraverso nuovi dispositivi. “In questa fase, sbarazzatevi di tutti i cellulari, sono agenti di morte”, aveva dichiarato Nasrallah. E così, al posto dei cellulari sono apparsi proprio i “pager”, i cercapersone che sono esplosi.

Dal Libano non ci sono dubbi sulla regia di Israele, che proprio nelle stesse ore aveva annunciato che lo Shin Bet, il servizio segreto interno, era appena riuscito a sventare un attentato di Hezbollah contro un ex alto funzionario della Difesa. E una prova della regia israeliana, per molti sono state le parole di Topaz Luk, ex portavoce di Netanyahu, che su X ha commentato un post alludendo alla possibilità che vi fosse la mano dello Stato ebraico. L’ex fedelissimo di Bibi, rispondendo alla notizia secondo il governo non avrebbe preso decisioni importanti sul Libano prima della visita a New York di Netanyahu, aveva scritto che quell’ipotesi “non è durata molto”. Il commento è stato immediatamente cancellato e l’ufficio del premier ha preso le distanze dalle affermazioni del funzionario. “Topaz Luk da alcuni mesi non è portavoce del primo ministro e non è coinvolto del più ristretto cerchio delle discussioni” ha dichiarato lo staff di Netanyahu. Ma per molti non vi sarebbero comunque dubbi sul fatto che queste esplosioni siano il risultato di un piano architettato da Israele.

Hamas e Jihad islamica palestinese hanno già espresso solidarietà. E il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha condannato “l’atto terroristico del regime israeliano che ha preso di mira civili libanesi”. La tensione è ormai oltre i livelli di guardia, al punto che nella regione, oltre all’inviato Usa, Amos Hochstein, è prevista anche una visita del capo del Pentagono, Lloyd Austin. L’amministrazione Biden vuole evitare a ogni costo l’escalation e una guerra aperta, e ne sta parlando non solo con il governo ma anche con l’opposizione (ieri, dopo Benny Gantz, i funzionari americani hanno parlato a Washington anche con l’altro leader anti-Netanyahu, Yair Lapid). E quello che preoccupa gli Stati Uniti è anche l’eventuale allontanamento dal governo di Yoav Gallant, il ministro della Difesa sempre più distante dalle idee di Netanyahu (i due ieri si sono incontrati dopo le esplosioni in Libano e Siria).

Molti ritengono che sia prossimo alla rimozione dall’incarico, sostituito da Gideon Sa’ar, fresco di accordo con Netanyahu. Secondo alcuni media, l’ipotesi è congelata proprio per le tensioni a nord. E mentre Gantz spera che il leader di New Hope ci ripensi, la politica israeliana vive ancora una fase di confusione. Tutto questo mentre si avvicina l’anniversario del 7 ottobre e il destino degli ostaggi è appeso a un filo insieme al futuro di Gaza.

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