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Dossier - Khaled El Qaisi, la fine di un incubo

Lorenzo Utile - Il giovane Khaled El Qaisi è finalmente rientrato in Italia dopo una drammatica vicenda che lo ha visto protagonista. Il suo caso è oggi simbolo dell’oppressione e di violenza che non fa altro se non accumulare altra violenza.

Khaled, doppia cittadinanza italo-palestinese, studente di lingue orientali all’università La Sapienza di Roma, nati a Gerusalemme nel 1995, si trova in Italia da quando ha 18 anni con la madre e il fratello. Appassionato cultore della propria cultura, ha fondato il Centro Documentazione Palestinese a Roma, che raccoglie, ordina e cataloga opere e traduzioni della millenaria storia della regione.

Il 31 agosto scorso, Khaled si trovava in vacanza insieme alla moglie Francesca Antinucci, e al figlio di quattro anni, con l’occasione di presentare la moglie alla famiglia e ufficializzare la propria unione, nonché fare conoscere al bambino la sua famiglia. Al confine fra Cisgiordania occupata e Giordania, presso lo storico Checkpoint Allenby, la polizia israeliana lo ha fermato e immediatamente arrestato, senza alcun capo d’accusa o sospetto. E’ stato interrogato sulla sua vita privata, ideologia politica, quindi ammanettato e portato nella tristemente famosa prigione di Petah Tikwa, al centro di Israele, non lontano da Tel Aviv. Dopo alcuni giorni prelevato e trasportato all’altrettanto noto carcere di Ashkelon. Un giudice ha convalidato senza difficoltà l’arresto fino alla fine di settembre, con divieto di incontrare un avvocato per la prima settimana, mentre Khaled è stato sottoposto a continui interrogatori, sempre senza accuse formali e senza la presenza di un avvocato. Per le prime due settimane è stato costretto a di totale isolamento e all’assenza di contatti, compresi i familiari più stretti, eccetto due incontri con il console italiano presso il Consolato di Tel Aviv, e da due brevi con il suo avvocato arabo-israeliano, vincolato a una legge che impone la assoluta riservatezza e impedisce la divulgazione anche di quanto accade in sede di udienza.

Khaled è stato condannato allo stato di detenzione preventiva, senza capi d’imputazione, secondo la legge dello Stato ebraico (sono numerosi i detenuti sottoposti a tale costrizione, fra cui non pochi minori). La vicenda di Khaled il ministero degli Esteri, associazioni e organizzazioni, con condanne delle modalità e dell'arbitrarietà dell'arresto, ma al lato pratico Khaled è rimasto in carcere. Amnesty International ha chiesto la scarcerazione immediata, a meno che esistano precisi capi d’accusa riconosciuti. Nel caso si richiedeva un equo processo, secondo il diritto internazionale. Molti hanno criticato il silenzio dei media mainstream e di diversi componenti del governo italiano sull'arresto di Khaled El Qaisi, che alla fine è stato liberato ed è rimasto dieci giorni agli arresti domiciliari, a casa di un parente a Betlemme che si era proposto come garante. Sarebbe dovuto rimanere ai domiciliari fino all’8 ottobre, ma dopo l’attacco di Hamas e l’inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza, è rimasto bloccato a Betlemme. L’11 ottobre è tornato a casa della madre e del fratello, sempre a Betlemme, ma ancora senza documenti, poi gli sono stati restituiti i documenti senza alcuna comunicazione sul motivo dell’arresto.

Khaled è rientrato a Roma, accolto da moglie e figlio, e dalla comunità studentesca dell’Università La Sapienza di Roma e dagli amici e colleghi del Centro Documentazione Palestinese.

A queste istituzioni, che si arrogano il diritto di sequestrare un libero cittadino, senza alcuna accusa, arbitrariamente, e di trattenerlo in un carcere di massima sicurezza, alcuni governi hanno ancora espresso il proprio appoggio…

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