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Darfur - Sultano Masalit denuncia violenze RSF

Assadakah News Agency - Secondo le informazioni giunte, mentre nella capitale i ribelli RSF continuano con le violazioni della tregua, nelle zone del Darfur controllate dalla RSF la situazione sta evolvendo al peggio, proprio a causa delle violenze che non pochi definiscono un prologo a quella che fino a pochi anni fa era la pulizia etnica.

E’ ciò che ha pubblicamente denunciato il sultano dei Masalit, Saad Abd al-Rahman Bahr al-Din, in una dichiarazione che accusa i paramilitari di avere riattivato i metodi dei Janjaweed da cui per altro derivano, prima di essere integrati nella RSF per ripulirne l’immagine. Questi gruppi hanno ricominciato ad attaccare i villaggi delle etnie africane, bruciando le capanne, ammazzando gli uomini e distruggendo ogni cosa, contro la popolazione musulmana non araba dell’area non araba, che vive a cavallo fra Sudan e Chad. Si pensi solo che la loro lingua è scritta in caratteri latini e non arabi.

A Genina, capitale della tribù, il sultano Rahman Bahr al-Din, ha definito la situazione catastrofica e ha tracciato un quadro desolante: “I feriti non possono raggiungere ciò che resta degli ospedali e delle cliniche e i corpi che giacciono nelle strade non possono essere seppelliti a causa dei continui attacchi”.

Alcuni uomini armati hanno assaltato diversi villaggi e circondato diversi campi per sfollati. Gli attacchi hanno provocato un numero imprecisato di morti e feriti. Molti altri sono fuggiti. Il sultano ha lanciato un appello alle organizzazioni umanitarie affinché forniscano assistenza urgente alle persone colpite dagli scontri tribali. Ha poi aggiunto che potrebbe anche riconsiderare l’accordo “Gilani” firmato dal Sultanato di Dar Masalit nel 1919-1921 con Francia e Gran Bretagna, secondo il quale Dar Masalit si sarebbe unito al Sudan nel 1922. In poche parole, non esclude azioni separatiste future.

Intanto, i seguaci dei due generali, Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Sudan e comandante delle forze armate, da un lato, e Mohamed Hamdan Dagalo, chiamato Hemeti, vicepresidente del Paese e capo dei paramilitari golpisti delle Rapid Support Forces, continuano a fronteggiarsi nella capitale e nella vicina città di Bahri.

Finora sono falliti anche tutti tentativi della comunità internazionale e dei Paesi vicini per far tacere le armi e portare alla ragione i due contendenti. L’esercito ha annunciato di aver accettato di inviare un rappresentante a Juba, la capitale del vicino Sud Sudan, per colloqui con la RSF; una iniziativa dell’IGAD, un’organizzazione politico-commerciale formata dai Paesi del Corno d’Africa. Dal canto loro, i paramilitari non hanno nemmeno commentato tale proposta.

Martin Griffith, sottosegretario generale dell’ONU per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti d’emergenza, in un tweet di poco fa ha fatto sapere che continuano i saccheggi negli uffici dell’organizzazione a Kharoum, Nyala (Sud Darfur) e Genina (West Darfur). Ha poi aggiunto: “Fatti inaccettabili e vietati dal diritto umanitario internazionale”.

Almeno 20mila persone sono già fuggite in Chad, altre 4.000 in Sud Sudan, 3.500 in Etiopia e 3.000 nella Repubblica Centrafricana.

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