Francesca Maria Grazia Palumbo per Assadakah News - Bettino Craxi è un indiscusso protagonista della politica italiana del 20° secolo. Leader del Partito Socialista Italiano, la sua figura è tanto ammirata quanto criticata. Tuttavia, un episodio rimane poco noto: prima del rapimento di Aldo Moro, Craxi si lamentava dell’irrilevanza del PSI nel perimetro del governo monocolore democristiano gradito a Berlinguer. Aldo Moro gli assicurò che presto i socialisti avrebbero avuto un ruolo determinante nella politica italiana. Poco dopo, avendo i sovietici installato dei missili contro l’Europa, Craxi fu determinante nel contrastare Mosca con l’installazione degli Euromissili anche in Italia. Ciò lo pose al centro del gioco politico tra l'ostilità del PCI e la pressione atlantica. Quello era il vero significato delle parole di Moro. Ai nostri microfoni in esclusiva Ferdinando Mach di Palmestein, mente finanziaria del PSI ed esperto di politica internazionale.
Quali erano le qualità umane e politiche che facevano di Craxi un leader?
“Craxi era un uomo di forte tempra, solido nelle sue convinzioni, capace di guardare oltre il presente e cogliere le tendenze della società. La sua forza risiedeva nella concretezza, nella capacità di analisi e nella prudenza prima di ogni scelta: non si sbilanciava mai senza aver prima consultato chi gli era vicino. Era un uomo che credeva profondamente nel suo lavoro, ma anche nella politica come costruzione collettiva. Tuttavia, questa stessa determinazione lo rendeva anche un uomo difficile, poco incline a mediazioni di comodo, convinto che la leadership dovesse essere esercitata con fermezza e senza esitazioni. La sua autonomia dal Partito Comunista, il tentativo di dare al socialismo italiano una propria identità, lo posero spesso in rotta di collisione con avversari e alleati”.

Fino a che punto Craxi cercò il dialogo con la sinistra post-comunista, e perché fallì?
“Craxi non fu mai un uomo di chiusure preconcette. Pur avendo reso autonomo il PSI dal PCI, mantenne sempre aperto un canale di dialogo con i comunisti, arrivando persino a sostenerne l’ingresso nell’Internazionale socialista. Quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, il Partito Comunista si trasformò nel PDS, Craxi comprese che era il momento di riavvicinare le due anime della sinistra. Inviò un emissario, Claudio Martelli, da Achille Occhetto, chiedendo un segnale di apertura: un’astensione in Parlamento per permettergli di guidare un nuovo governo. Non era una resa, ma un gesto di riconciliazione, forse il primo passo verso una sinistra finalmente unita. Ma la risposta fu gelida, quasi spietata: il PDS avrebbe accettato solo se il premier non fosse stato Craxi. Un rifiuto non solo politico, ma personale. Forse fu lì che Craxi comprese che la sua stagione stava finendo. Non cercò di parlare alla base del PDS, non tentò un ultimo appello: si chiuse nel vecchio centrosinistra, mentre tutto intorno a lui cambiava, lasciandolo indietro. E da quel momento in poi, la storia smise di essere sua alleata”.
Craxi cercava di piacere o di convincere? Come ha influenzato questo aspetto del carattere la sua carriera politica?
“Craxi non faceva nulla per piacere, voleva convincere. Era questo il punto chiave del suo carattere politico. Prima di tutto cercava di persuadere il suo partito, poi gli altri, governando il Paese con le sue idee, con la sua visione, con quello che lui capiva. Non amava le strategie di consenso facili, era il contrario di un “piacione”. Questo suo atteggiamento ha anche limitato la crescita elettorale del PSI, perché lui non si preoccupava di conquistare simpatie, ma di affermare una linea politica precisa.
Non era un leader seduttivo nel senso classico, anche se in privato sapeva essere coinvolgente. Forse c’era in lui una timidezza intrinseca, che lo portava a puntare, nei discorsi pubblici e in televisione, solo sulla forza delle sue idee, sulla coerenza, sull’autonomia socialista. Non cercava di compiacere gli interlocutori, voleva convincerli, sia nei rapporti personali che nelle grandi battaglie politiche. Lo faceva dal pulpito dei comizi, ma soprattutto in Parlamento, che per lui era il vero esame di maturità per chi fa politica.
Aveva una visione concreta e dura della politica. Diceva spesso ai suoi amici che per farla bisogna avere “lo stomaco del sorcio e la pelle dell’elefante”, cioè la capacità di digerire tutto e di resistere anche ai colpi più duri. Infatti la sua è stata una lotta continua, in cui non ha mai cercato scorciatoie, ma sempre e solo la forza delle sue convinzioni”.
Grazie alla sua pluriennale frequentazione, potrebbe descrivere il rapporto di Craxi con i piaceri della vita quotidiana?
“Craxi non aveva un vero e proprio legame con il lusso. La sua vita quotidiana era segnata da gusti semplici, quasi popolari. Mi ricordo che, anche quando gli preparai del pesce che avevo comprato al mercato di Hammamet, lo apprezzò, dicendo però: 'Buono il tuo pesce crudo, anche quello cotto, ma io preferisco sempre le mie zuppe di verdure'. Un uomo che preferiva la semplicità e non solo a tavola”.
Sigonella, l’Italia contro gli Stati Uniti: cosa accadde davvero quella notte?
"Sigonella è uno dei tre grandi eventi politici che segnano il governo di Craxi. Prima di arrivarci, bisogna capire chi era Craxi e quale fosse la sua visione dell’Italia. Era un uomo che voleva un Paese più forte, più autonomo, più rispettato nel mondo. E lo dimostrò con altre due scelte cruciali: la riforma della scala mobile e l’ingresso dell’Italia nel G7.
Con la riforma della scala mobile, Craxi si prese un rischio enorme: ridurre l’inflazione significava andare contro la sinistra più radicale e sfidare un referendum popolare. Ma gli italiani capirono che l’inflazione divora il potere d’acquisto dei più deboli e gli diedero ragione. Poi, con la politica estera, riuscì a far entrare l’Italia nel G7, fino ad allora un club ristretto. Fu un’operazione diplomatica delicata, con la Francia e la Germania poco inclini, ma con il sostegno di Reagan, che vedeva in Craxi un leader affidabile.
E poi arrivò Sigonella. Il momento in cui l’Italia tenne testa agli Stati Uniti. Un aereo con a bordo i terroristi palestinesi che avevano sequestrato la nave Achille Lauro e ucciso un passeggero statunitense, Leon Klinghoffer, paralizzato in carrozzella. L’aereo viene intercettato dagli americani, ma atterra in Sicilia, e lì Craxi prende una decisione storica: sul suolo italiano valgono i nostri diritti nazionali e non quelli statunitensi. L’aereo è sul suolo italiano e l’Achille Lauro è territorio italiano, quindi l’Italia decide il destino dei dirottatori.
Quella notte, sulla pista di Sigonella, si sfiorò l’incidente diplomatico più grave della storia repubblicana. Da una parte i carabinieri italiani, dall’altra i marines americani. Entrambi con le armi in pugno. Reagan e Craxi parlarono al telefono, ma la traduzione – secondo alcune testimonianze – fu leggermente alterata, con toni più duri del dovuto. Alla fine prevalse la linea italiana: niente scontro armato, ma fermezza assoluta.
Quella scelta segnò un punto di rottura. Craxi era stato il primo socialista europeo a schierarsi con gli Stati Uniti nella guerra fredda, sostenendo l’installazione degli euromissili. Ma dopo Sigonella si raffreddarono i rapporti con la comunità israeliana. Israele e una parte del mondo americano non gli perdonarono quell’atto di autonomia. E negli anni successivi, mentre in Italia esplodeva Tangentopoli, non tutti furono dispiaciuti nel vederlo cadere. Sigonella rimane uno dei momenti più alti dell’autonomia e dell’orgoglio della politica estera italiana. Un’azione di indipendenza che nessun governo successivo ha più ripetuto”.
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