Assadakah Cairo - Sharm el Sheikh. Dopo due settimane di trattative, la Cop27 si conclude all’alba di domenica con un mezzo successo, tra la gioia dei Paesi africani e il disappunto dell’Unione Europea. La plenaria conclusiva, programmata in un primo momento per le 21 di sabato, è slittata di ora in ora e alla fine inizia alle 4 del mattino. I volti sfatti dei delegati la dicono lunga sulla fatica che il tentativo di accordo sul clima è costato ai rappresentanti delle diverse nazioni. Almeno un risultato è stato ottenuto: il via libera a un fondo per il Loss and damage, i soldi a cui attingere per rimediare ai danni e alle perdite causate dal clima nei Paesi in via di sviluppo più vulnerabili agli eventi meteorologici estremi. Un traguardo tagliato dopo trent’anni di discussioni.
I Paesi ricchi, sui quali ricade l’onere di alimentare il fondo perché responsabili “storici” delle emissioni che hanno alterato il clima, si erano sempre opposti. Ma la presidenza egiziana di Cop27, guidata da Sameh Shoukry, ha fortemente voluto che il tema fosse al primo punto dell’agenda della Conferenza di Sharm el Sheikh, una Cop volutamente definita "africana". Il G77+Cina (gruppo che raccoglie 134 Paesi in via di sviluppo) è stato compatto ai tavoli delle trattative, nonostante il tentativo del capo delegazione Ue Frans Timmermans di offrire solo ai “più vulnerabili” un meccanismo di aiuti economici, con la giustificazione che il fondo non può essere pensato per intervenire agli oltre 100 Paesi in via di sviluppo, non ci sarebbero risorse sufficienti. La crepa, nel muro contro muro tra Nord e Sud del mondo, si è aperta sabato a metà giornata, quando la presidenza di Cop27 ha presentato un nuovo testo che recepiva parzialmente le richieste dei Paesi sviluppati. “È stata ottenuta la menzione dei ‘più vulnerabili’ ed è in qualche modo abbozzata la questione dell’allargamento della base dei donatori”, aveva spiegato l’Inviato speciale italiano per il clima Alessandro Modiano. Altro punto cruciale, quello dei donatori: Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone non vogliono essere i soli a metterci i soldi e chiedono che lo facciano pure altre potenze economiche, a cominciare dalla Cina. A decidere quali saranno i Paesi vulnerabili che potranno utilizzare il fondo per il Loss and damage e quali le nazioni che dovranno contribuirvi sarà comunque un comitato istituito qui a Cop27 e che dovrà riferire alla Cop28 di Dubai l’anno prossimo.
Accolte, seppur blandamente, le condizioni poste dall’Occidente, si sono create le condizioni per l’accordo. E a quel punto la conclusione positiva di Cop27 è sembrata a portata di mano. L’ultima notte doveva servire per sciogliere i tanti nodi rimasti. A cominciare dalla mitigazione, quelle misure che riducono le emissioni di gas serra e quindi frenano il riscaldamento globale. Il fronte di chi ha “ceduto” sul Loss and damage ha chiesto in cambio un impegno stringente, nel testo finale, perché si mantenesse “vivo” l’obiettivo di 1,5 gradi di riscaldamento in più rispetto all’era preindustriale. E che si menzionasse esplicitamente la graduale riduzione di tutte le fonti fossili, in particolare fissando il picco delle emissioni al 2025, passaggi quest’ultimi osteggiati da molti vicini “petrolieri” dei padroni di casa egiziani, a cominciare dall’Arabia Saudita.
Un braccio di ferro durissimo, alla base dei continui rinvii notturni della plenaria decisiva. All’alba il fondo per il Loss and damage resta l’unico vero grande risultato di Cop27. Nel testo finale della “cover decision”, il documento che riassume le decisioni politiche, manca infatti l’impegno per un’uscita sicura e socialmente sostenibile dai combustibili fossili. “A Sharm abbiamo visto un esplicito tentativo da parte di imprese e paesi produttori di gas e petrolio di rallentare una transizione necessaria e ormai inevitabile”, dice Giulia Giordano, responsabile dei programmi internazionali del think thank italiano Ecco.
Trasparente il disappunto di Timmermans, che per una volta legge il suo intervento anziché andare a braccio: “Accettiamo questo accordo con riluttanza. Gli amici sono veri amici solo se si dicono anche quello che l’altro non vorrebbe sentire”, esordisce il capo della delegazione Ue. “Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del Loss and damage, ma sulle riduzioni delle emissioni qui abbiamo perso una occasione e molto tempo, rispetto alla Cop26 di Glasgow. Da domani ci metteremo al lavoro per rimediare alla Cop28 di Dubai. Siamo a 1,2 gradi di riscaldamento e abbiamo sentito in questi giorni quali effetti questo stia già provocando. Ma la soluzione non è finanziare un fondo per rimediare ai danni, è investire le nostre risorse per ridurre drasticamente il rilascio di gas serra nell’atmosfera”.
Alle sette del mattino arriva anche la dichiarazione del Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che si era speso moltissimo per una svolta nella lotta ai cambiamenti climatici. “Accolgo con favore la decisione di istituire un fondo per le perdite e i danni e di renderlo operativo nel prossimo periodo. Chiaramente, questo non sarà sufficiente, ma è un segnale politico assolutamente necessario per ricostruire la fiducia infranta”, scrive Guterres. “Tuttavia il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che Cop27 non ha affrontato”, sottolinea il Segretario generale Onu. La linea rossa che non dobbiamo oltrepassare è quella che porta il nostro pianeta oltre il limite di temperatura di 1,5 gradi. Per avere qualche speranza di mantenere l'1,5, dobbiamo investire massicciamente nelle energie rinnovabili e porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili. La Cop27 si conclude con molti compiti e poco tempo”.
“Questa Conferenza ha segnato comunque un cambiamento di paradigma, che va oltre la questione climatica”, commenta Jacopo Bencini, analista di Italian Climate Network. “Eravamo abituati a un mondo dove a decidere e indirizzare erano le cinque Nazioni che siedono nel consiglio di sicurezza dell’Onu. Qui a Sharm, complice il conflitto russo-ucraino che ha rotto gli schemi, i Paesi del Sud del mondo hanno cominciato a far contare i loro numeri”.
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