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Cisgiordania - Jenin non esiste più...

Immagine del redattore: Roberto RoggeroRoberto Roggero

Assadakah News - Per chiunque abbia seguito, raccontato, la storia della resistenza palestinese, Jenin era una meta pericolosa ma obbligata, in quanto fulcro della seconda Intifada, tristemente nota come “fabbrica dei martiri”. Jenin era un campo di battaglia, accerchiato, bombardato, che oggi non esiste più. E’ stato letteralmente cancellato e raso al suolo, e gli oltre 21mila palestinesi che vivevano a Jenin sono stati deportasti, espulsi.

Jenin era il simbolo della lotta contro l’occupazione israeliana e adesso al suo posto c’è solo il nulla, oltre a qualche canale di scolo delle acque reflue.

Dopo le bombe e i missili degli aerei israeliani, sono entrati in campo i bulldozers, a continuare e terminare l’opera di distruzione. Nessuno vive più nel campo d i Jenin, perché i cecchini della IDF sparano a tutto ciò che si muove e nessuno osa avvicinarsi. L’esercito israeliano ha annunciato che non permetterà la ricostruzione.

La distruzione di questo campo profughi è un crimine di guerra particolarmente efferato, una verità che si oppone alle menzogne diffuse dalla IDF: “La distruzione dell’accampamento aveva lo scopo di garantire la libertà d’azione dell’esercito. L’operazione si sta ora concentrando sulle infrastrutture e sugli aspetti ingegneristici, per eliminare ogni traccia di chi ha costruito il campo con scopi di guerriglia offensiva, ovvero i terroristi palestinesi”.

Nella realtà, il campo profughi di Jenin è stato realizzato dagli Emirati Arabi Uniti, dopo una precedente distruzione nel 2002. Ironia della sorte, i progettisti sono stati attenti a realizzare strade larghe per prevenire abbattimento di abitazioni, in caso di entrata di carri armati. Per questo, l’espressione “infrastrutture e aspetti ingegneristici” appare pretesto fin troppo banale per giustificare la distruzione.

E’ comunque un fatto che a Jenin, oltre alla popolazione palestinese, si trovassero anche gruppi della resistenza, in quanto simbolo della resistenza stessa.

Negli ultimi anni, per le sue strade si sono visti molti uomini armati, giovani molto motivati a impedire le incursioni dell’IDF, come nel 2002. Jenin non si è mai arresa all’occupazione, e per questo ne è diventata il simbolo, ora più che mai.

Per quanto sia difficile da credere, il campo era anche un luogo di vita ordinaria, aveva un bellissimo teatro che metteva in scena spettacoli per bambini e adulti, c’era una vita sociale e culturale, nella drammatica realtà di un campo profughi. I giovani si sposavano per strada, c’era spirito di solidarietà.

Tutti gli abitanti erano rifugiati e figli di rifugiati che Israele aveva espulso dalla loro terra nel 1948, e vivevano per un futuro tanto desiderato, memori della sofferenza imposta da un’occupazione illegale.

Purtroppo, come non pochi analisti avvertono, Jenin sarà solo l’inizio. I campi di Nur al-Shams e Tulkarem saranno i prossimi, perché la IDF ha in progetto di radere al suolo e cancellare anche tutti gli altri 18 i campi profughi, mentre la comunità internazionale si rende più che mai complice silenzioso della distruzione.

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