Riham El Shazly – La dolorosa eredità psicologica della guerra civile, in una pellicola intensa nella quali una ragazza scopre l’adolescenza della madre grazie a una misteriosa “scatola dei ricordi”. La regia è curata da, Joana Hadjthomas e Khalil Joreige, nati a Beirut e non certo alle prime armi nell’arte del cinema. In “Mistery Box” hanno riversato le proprie esperienze nella fotografia, nella installazione scenografica, nelle ricerche e documentazione per la traccia dei loro film, oltre a esperienze personali vissute, come in “Isrmyrna”. Il loro lavoro nel cinema spesso influenza e porta a progetti nelle arti plastiche e viceversa. Sono poi noti per lavorare diversi anni su un singolo progetto, spesso rivisitando lavori precedenti in retrospettiva. Decisamente indovinato il cast, con con Manal Issa, Isabelle Zighondi, Rim Turkhi.
Alex, ragazza adolescente, vive a Montréal e si appresta a festeggiare la vigilia di Natale con la madre e la nonna. Prima che la serata abbia inizio, un corriere consegna uno scatolone che proviene da Beirut, in Libano, luogo da cui la famiglia di Maia era emigrata decenni prima. Alex è l'unica a mostrarsi curiosa del contenuto, mentre sia la madre che la nonna sembrano non voler scoperchiare questo particolare vaso di Pandora. La curiosità di Alex è però troppo forte e la porterà a scoprire i diari, le registrazioni e le lettere che la madre stessa aveva scritto da ragazza, mentre Beirut veniva dilaniata da una guerra civile e una generazione di ragazzi cercava ugualmente di crescere, divertirsi e amarsi.
La giovane Maia (interpretata nella versione anni ‘80 da Manal Issa) è costretta a vivere le amicizie spensierate, i balli e le prime infatuazioni adolescenziali con il doppio dell'intensità, affinché reggano il peso di un ambiente familiare gravemente segnato (un fratello scomparso e un padre che vive nell'angoscia) e di una violenza che invade la città così come lo schermo, che spesso adotta le tecniche del collage per restituire la sensazione emotiva instabile e contraddittoria, come un'adolescenza trascorsa a Beirut in tempo di guerra.
Il film è poi denuncia morale alle lamentele per problemi futili, e affronta anche il “gap generazionale”, dove la generazione più anziana, si trova di affrontare le aspettative postbelliche, e di elaborare i traumi vissuti in gioventù, durante la guerra. Mentre i più giovani sono in uno stato di confusione e smarrimento, il loro dolore risulta meno “vivo” ma il sentimento di smarrimento è forte.
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