Patrizia Boi (Assadakah News)
«Le oche con il loro passo tranquillo
sono padrone di camminare dove vogliono.
Sono belle le oche e sanno dove andare.
Al collo portano i campanellini argentati,
per scacciare gli spiriti maligni – fuori,
fuori i demoni dai cuori e dai villaggi».
La Casa Russa a Roma, situata nella suggestiva cornice del Palazzo Santa Croce e la sua Direttrice Daria Pushkova, lo scorso Venerdì 15 novembre 2024, alle ore 18:30, hanno dato vita al Salotto Letterario Musicale del mese di novembre, ideato e condotto da Elena Sotnikova, un evento speciale nell’ambito della rassegna La Poesia nell’Eden Perduto. Protagonista della serata è stata Natalia A. Stepanova con la sua silloge poetica La Compagnia delle Oche, pubblicata da Ensemble Edizioni.
L’incontro ha visto gli interventi critici di Flaminia Cruciani (poetessa, scrittrice e archeologa), Antonella A. Rizzo (poetessa, scrittrice e giornalista) e Matteo Chiavarone, editore.
A completare l’esperienza, un raffinato programma musicale con Elisaveta Smirnova (soprano) e Giuseppe Rossi (pianoforte), accompagnati dalle letture dell’attrice Natalia Simonova.
Natalia A. Stepanova, nata a Saratov (Russia) e residente a Roma dal 1972, è una poetessa di fama internazionale. Ha pubblicato diverse raccolte in lingua italiana, ricevendo importanti riconoscimenti, e tradotto in russo il romanzo di Barbara Alberti Gelosa di Majakowskij. Attualmente cura la rubrica La Russia in versi per Russia Oggi.
Durante la serata, la Stepanova ha raccontato il processo creativo che ha ispirato la sua nuova opera, evidenziando il profondo legame tra la sua identità russa e l’esperienza vissuta in Italia.
«Sono nata in una città sul Volga.
Tra le nevi di Febbraio. Io sono russa,
come lo erano mia madre e mio padre
come la mia terra e la mia lingua natie.
Nelle mie vene scorrono Asia e Oriente…».
Particolare interesse ha suscitato l’analisi simbolica dell’oca nella tradizione ortodossa russa, dove questo animale rappresenta purezza, vigilanza e il legame tra il terreno e il divino.
Il simbolismo dell’oca attraverso i secoli
Fin dall'antichità, l’oca ha rivestito un ruolo importante nelle tradizioni culturali e spirituali di diverse civiltà, rappresentando concetti come la vita, la creazione e la rinascita. Questo animale, simbolo solare, incarna la fertilità femminile, la maternità e la dimensione domestica, ma anche il desiderio di libertà e di “spiccare il volo” senza trascurare le responsabilità verso i propri cari.
Nella mitologia egizia, l’oca era considerata un uccello sacro, parte integrante del mito della creazione. Secondo la leggenda, fu un’oca a deporre l’uovo cosmico dal quale nacque il dio sole Ra, creatore dell’Universo. Inoltre, l’oca rappresentava l’anima del faraone e, durante le cerimonie di incoronazione, venivano liberate quattro oche per segnare simbolicamente il passaggio al nuovo regno.
Nella mitologia greca, l’oca era simbolo di vitalità, fertilità e forza, ed era associata a divinità come Apollo, Afrodite ed Hermes. Eros, il dio dell’amore, era spesso raffigurato in sella a un’oca volante, mentre Priapo era accompagnato da oche sacre, legate ai riti di fecondità.
Gli antichi Romani veneravano l’oca come animale sacro alla dea Giunone. Le oche vivevano libere sul Campidoglio, nei pressi del tempio dedicato alla dea. Secondo la leggenda, il loro schiamazzare avvertì i Romani dell’imminente attacco dei Galli, consentendo di respingerlo. Da quel momento, l’oca divenne un simbolo di vigilanza, attenzione e cautela, oltre che una custode della città.
Nella cultura indiana, l’oca, chiamata Hamsa in sanscrito, rappresenta libertà, purezza interiore, conoscenza e forza vitale (prana). Il suo respiro, simbolizzato dal suono “Ham” per l’espirazione e “Sa” per l’inspirazione, riflette il ciclo vitale e il ritorno dell’essenza individuale alla sorgente cosmica. Nella Hamsa Upanisad, l’anima individuale è identificata con l’oca, che migra di esistenza in esistenza fino a raggiungere la liberazione.
Anche nella tradizione cattolica, l’oca richiama la compassione, poiché non abbandona mai un compagno ferito, rimanendo al suo fianco fino alla guarigione.
Infine, l’oca è diventata un simbolo di protezione e cura anche nell’immaginario moderno. L’uso della sua immagine sui vestiti dei bambini non è casuale: evoca attenzione, fertilità della vita e un augurio di crescita radiosa. Richiama il desiderio di protezione, ma anche l’aspirazione a “spiccare il volo”, intraprendendo un percorso di evoluzione e scoperta.
In realtà l’oca di Natalia Stepanova rassomiglia al poeta che starnazza i suoi versi dal suo giardino interiore. E spesso starnazza allungando il collo verso l’obiettivo da colpire. Starnazzando più forte e più a lungo col suo verso incontrollato e irrazionale che sgorga dall’anima come un fiume in piena. Col cervello da oca, che non agisce sul piano razionale, non si può concepire un disegno rigido, non si può vestire l’abito gessato, o il grembiule di blindaggio dei soldatini globalizzati della società del consumo. L’oca razzola camminando libera, senza avere argini, senza strade prestabilite, non è soggetta alle limitazioni degli uomini normali - I cosidetti sani direbbe Fromm, gli Uomini ad una dimesnione direbbe Marcuse, ma sente con l’istinto bestiale del suo fiuto ancestrale.
Come il poeta sembra che l’oca dica:
«Io da sempre vi prego,
non uccidete la bellezza.
Che sia una donna bella,
l’incanto di un paesaggio,
un animale o una poesia –
la bellezza è il verbo…».
Perché l’oca conosce la bellezza, la sperimenta in ogni istante, immersa nella natura del suo componimento interiore, lontana dai “senz’anima”, dalle “pavide nane” e dalle “serpi velenose”.
La passeggiata delle oche è naturale, liberamente vanno dove vogliono. E guardano attonite la passeggiata degli umani, di quelli che un tempo lo erano e ai quali i padroni del mondo ordinano attraverso i loro servitori:
«Non respirare –
gracchiano le cornacchie.
Non respirare –
planano i gheppi in volo.
Respirano i fiori spontanei,
selvatiche creature dei boschi,
ai bordi dei sentieri di campagna.
Noi si cammina soli, senza
le maschere stracce sui volti.
Solo gli occhi rimangono …».
E se voi siete oche e non volete mascherare il vostro aspetto, il vostro cervello di oche infastidisce, siete esseri irragionevoli a cui molti vorrebbero tirare il collo. State attenti, infatti:
«Non accompagnatevi ai pavidi,
vi tradiranno, facendovi credere altro.
Gli invidiosi vi affliggeranno l’anima,
e i cattivi vi mangeranno il cuore.
Gli arroganti vi spezzeranno le ossa,
i permalosi ve la faranno pagare,
e gli ipocriti diranno menzogne.
Gli sciocchi vi annienteranno
(sono i più pericolosi)».
Allora quale speranza rimane alle oche?
«…La rosa rimane integra,
e commuove l’animo
di fragilità e perfezione».
Nonostante i divieti e gli impedimenti, nonostante «…Lo sconforto/di un Natale proibito,/senza più un Dio…».
E le oche urlano solitarie o in compagnia:
«Io sono una creatura di Dio,
il mio corpo è materia sacra,
la mia mente è complessa
quanto l’Universo intero».
Le oche ascoltano il silenzio e lo riempiono del loro starnazzare:
«Così noi siamo la compagnia bella,
delle oche, collo lungo e occhio attento.
Facciamo chiasso e ci teniamo in gruppo,
conosciamo bene le vie del villaggio,
e non abbiamo paura di essere oche
e di camminare lontano da casa».
Infatti, camminare lontano dagli altri animali, tutti uguali, schiavi servili, menti globalizzare, divoratori di consumo, corpi senz’anima, ci riempi di gioia, perché:
«Siamo oche, impavide camminatrici,
dal collo lungo e dal becco rosso:
portatrici di sogni e di chimere,
miti, poesie, fiabe, leggende.
Siate santi, imparate dalle oche».
Le oche come i poeti vivono in un’altra dimensione, quella del giardino fiorito, quello della rosa che tutto sa e conosce, mentre:
«Con le maschere, aderenti ai volti,
per coprire il fiato fetido di zolfo,
i senz’anima dagli occhi torvi –
chi per denaro, chi per dovere,
chi per il potere di vita e morte,
dettano leggi di un nuovo corpo
dell’essere sani, più sani ancora.
E nel bisogno dell’odio
si narrano le parole nuove,
dal significato distorto».
E magari può anche capitare che il male si tramuti in bene, assolutamente per il nostro bene:
«La gente amara, i morti viventi
delle grandi città, non videro i fiori –
avevano le bocche chiuse,
imparavano a non respirare».
E il demonio, che promette denari e ricchezza, che lusinga e ammalia convincente come non mai, pronto a trascinare nel baratro migliaia di gonzi:
«Suona una siringa d’avorio
incanta l’udito e le menti.
Passo dopo passo raccoglie
le anime di chi lo segue».
Tanto è vero che occorre «…nettare le mani e il viso/dalle vostre menzogne» con l’acqua di San Giovanni, perché:
«Nessuna vostra parola è vera –
peste e guerra, e non piove.
Il mondo del Male ha bisogno
del sangue, versato sugli altari,
di quale pace andate a dire?».
E ci sono tutti i media che insistentemente chiedono:
«…di schierarti dalla parte dei giusti
di quelli delle armi che ti mandano in guerra».
Mentre le oche sono convinte che:
«La Primavera non ha pensieri
di guerra, di farina d’insetti,
di cambiamenti di ogni sorta».
Perché «Le guerre sono del demonio».
Eppure, le oche non ci cascano, continuano a starnazzare come i poeti, ascoltando i profumi del giardino, odorando le rose, guardano le ali colorate di una farfalla, osservando il suo volo.
«Nessuno può scrivere nel libro sacro della vita
nessuno può mandare uno scrivano per
spostarvi le parole, per sostituirle nel libro sacro
della vita, dove tutto è già scritto».
La raccolta, descritta come un viaggio spirituale e culturale, esplora temi universali come il distacco dalla natura, la perdita delle radici spirituali e l’alienazione urbana.
Questi versi esprimono una profonda inquietudine esistenziale, descrivendo un’umanità prigioniera dell’alienazione cittadina, in contrasto con la natura che offre rifugio e speranza. La terra, con i suoi cicli e la sua bellezza, emerge come simbolo di rinascita e salvezza spirituale.
La scrittura di Stepanova, ricca di metafore e immagini potenti, invita il lettore a riflettere sul rapporto tra uomo e natura, tra sacro e quotidiano.
La Compagnia delle Oche non è solo una raccolta di poesie, ma un invito a riscoprire il valore della semplicità e della connessione con la vita autentica. Un’opera che emoziona e trasforma, capace di parlare sia all’individuo sia all’umanità intera.
N.B. Immagini e composizioni sono di Veronica Paredes
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