
Patrizia Boi (Assadakah News) - Giovedì 27 febbraio alle ore 18.30 la Casa Russa di Roma ospiterà il Salotto Letterario e Musicale - a cura di Elena Sotnikova - Leggiamo Čechov!, dedicato al 165° anniversario della nascita del grande drammaturgo russo. Oltre al programma musicale, gli ospiti ascolteranno le letture di estratti di racconti umoristici e opere teatrali di Čechov.
Intervengono gli esperti: la presidente dell'associazione culturale “Il Mondo di Damarete” Maria Federico parlerà di “Čechoviana Sicilianità”, mentre la traduttrice e interprete Irina Boulychkina racconterà di Čechov, Čajkovskij e Rimskij-Korsakov.
Gli attori: Maria Teresa Pintus, Pavel Zelinskij; il regista Marco Belocchi
Alla serata parteciperanno gli attori Maria Teresa Pintus, Pavel Zelinskij, il regista Marco Belocchi, il soprano Maria Smirnova, il compositore e pianista Giovanni Paolo Palamara e Giulia Prudente (Viola).
Alla fine della serata anche il pubblico interverrà per la lettura di alcuni brani di Čechov.
Scrittore e medico, pubblicista e mecenate, un classico del teatro mondiale, Anton Pavlovič Čechov, ha vissuto solo 44 anni, ma il suo lavoro ha influenzato molte generazioni di scrittori in Russia e all'estero.
Anton Čechov: il poeta dell'anima umana

Nacque in un angolo remoto della steppa russa, tra i sussurri del vento e il canto malinconico della neve. Taganrog, sulle rive del Mar d'Azov, nella regione di Rostov, un importante porto marittimo con una lunga storia legata al commercio e alla cultura, lo vide venire al mondo, in una casa modesta dove il padre, rigido e severo, impartiva ordini come un despota domestico, mentre la madre, dolce e paziente, raccontava storie che avrebbero impastato la sua immaginazione.
Anton Pavlovič Čechov era un ragazzo silenzioso, con gli occhi attenti di chi già ascolta il battito delle vite altrui. Nel piccolo negozio di famiglia osservava, nelle strade imparava, nei libri cercava un rifugio. Quando il destino trascinò la famiglia a Mosca in rovina e umiliazione, fu lui, il giovane studente di medicina, a caricarsi sulle spalle il peso della sopravvivenza. Scriveva racconti per pochi copechi, riempiendo le pagine di un umorismo sottile e gentile, mentre di notte studiava per guarire i mali del corpo umano.
Ma Čechov non era solo medico di carne e ossa: era il medico delle anime. Con il suo sguardo limpido e privo di giudizio, penetrava le pieghe più segrete dell’esistenza. Nei suoi racconti e nelle sue opere teatrali, le parole diventavano specchi in cui si riflettevano le speranze e le delusioni, i sogni e le disfatte dell’umanità.
Scrisse con la leggerezza della brezza primaverile, ma ogni sua frase portava il peso delle vite sfiorite. Nei racconti brevi tratteggiava personaggi con poche pennellate: il burocrate insignificante, il medico stanco, la donna malinconica che osserva la pioggia dietro una finestra. E poi c’era il suo teatro, che non si alzava in cattedra né urlava passioni sfrenate, ma sussurrava la verità della vita quotidiana.
"Il Gabbiano", "Zio Vanja", "Tre Sorelle", "Il Giardino dei Ciliegi" – drammi senza eroi né villain, senza trionfi né catastrofi epiche, ma intrisi di quell’inquietudine sottile che accompagna l’esistenza. I suoi personaggi parlano, e in quelle parole si nascondono abissi. Ridono, e nel loro riso c’è già la nostalgia del tempo che scivola via. Aspettano, sempre aspettano qualcosa che non arriva mai.
Ma la vita di Čechov scorreva veloce, come sabbia tra le dita. La tubercolosi gli sussurrava nell’ombra, lo consumava piano, mentre lui continuava a scrivere, a viaggiare, a osservare. Andò fino a Sachalin, nell’estremo Oriente, dove i forzati languivano nelle colonie penali: lì raccolse storie di dolore e disperazione, perché anche loro, i dimenticati, dovevano avere una voce.
E poi l’ultimo viaggio. Quando ormai la malattia aveva scavato dentro di lui come il vento d’inverno, Čechov partì per la Germania, nella speranza di un’aria più dolce. Morì in un albergo di Badenweiler, con un bicchiere di champagne tra le mani e un ultimo sorriso ironico sulle labbra, come se volesse dirci che la vita è solo un soffio, eppure contiene l’infinito.
I capolavori universali di Anton Pavlovič Čechov
Oggi il suo nome risuona come un’eco lontana, ma le sue storie vivono ancora. Nei teatri, nelle pagine ingiallite, nei sospiri di chi si riconosce nei suoi personaggi. Perché Čechov non scrisse solo della Russia: scrisse dell’anima universale, della malinconia sottile di essere umani, della bellezza struggente delle cose piccole, di quel silenzio che, a volte, dice tutto.
Ho scelto un pezzo che mi affascina e che esprime l'idea che lui aveva della Russia, una riflessione su quel giardino incantato che per ognuno di noi è la propria Terra, gli alberi i suoi abitanti, alberi con un frutto dolce succoso e una fioritura spettacolare, come i ciliegi: un pezzo con molte sfumature e possibili interpretazioni.
Tratto da Il Giardino dei Ciliegi. Atto Secondo. Commedia in quattro atti.
Trofimov: «Tutta la Russia è il nostro giardino. Terra grande e incantevole. Ci sono in lei tanti, tanti luoghi meravigliosi. Pausa.
Pensate, a Anja: il vostro nonno, il vostro bisnonno e tutti i vostri antenati erano signori, possessori di servi, e non vi sembra che da ogni ciliegio del giardino, da ogni foglia, da ogni tronco, vi guardino degli esseri umani? Non vi sembra di sentirne le voci?
Oh, è spaventoso! Il vostro giardino fa paura; e quando la sera o la notte si va per il giardino allora l'antica scorza degli alberi ha un fosco riflesso e sembra che i ciliegi vedano in sogno quello che fu cento, duecento anni addietro e che delle opprimenti visioni li gravino. È vero!
Noi siamo in ritardo di almeno duecento anni, noi non abbiamo ancora assolutamente nulla, non abbiamo una concezione definita riguardo al passato, noi ci contentiamo solo di filosofare, ci lamentiamo del nostro tedio e beviamo vodka. Ecco, è così chiaro che per cominciare a vivere nel presente bisogna prima riscattare il nostro passato, farla finita con esso; ma riscattarlo si può solo con la sofferenza, solo con un lavoro indefesso, incessante.
Questo dovete capire, Anja».
Il giardino dei ciliegi, libri e l'immagine dello spettacolo al Piccolo di Milano sull'opera teatrale omonima
E poi quest'altro passo, quasi ironico, sulla fine che possono fare gli alberi...
Sempre tratto dal Giardino dei Ciliegi, Atto Terzo.
Lopachin: «Il Giardino dei Ciliegi ora è mio. Mio! (Ride)
Dio mio! Signore, il Giardino dei Ciliegi è mio! Pausa.
Ditemi che sono ubriaco, che sono fuori di senno, che tutto questo è un'illusione… Batte i piedi.
Non ridete di me! Ah! Se mio padre e mio nonno potessero uscire dalla tomba e vedere ciò che è accaduto, vedere come il loro Ermolaj, quello che piglia le bastonate, che sapeva appena leggere, che d'inverno correva scalzo, ha comperato oggi un podere di cui non ce n’è uno più bello al mondo! Io ho comperato la terra dove mio nonno e mio padre furono servi, dove non li si lasciava entrare nemmeno in cucina!
Io sogno: questa non è altro che un'apparenza… non è altro che un'illusione…
Questo è il frutto della vostra immaginazione, offuscata dalla tenebra dell'ignoranza..
(Raccoglie le chiavi, sorridendo carezzevole).
Ha buttato via le chiavi: vuol mostrare che non è più padrona qui… (Fa suonare il mazzo di chiavi).
Be’, non importa. (Si sente l'orchestra che accorda gli strumenti).
Ehi, musicanti, suonate! Io desidero sentirvi! Venite tutti a vedere come Ermolaj Lopachin vibrerà la scure nel Giardino dei Ciliegi, come gli alberi cadranno a terra! Costruiremo noi le ville, e i nostri nipoti e pronipoti vedranno qui una nuova vita… Musica, suona!».
Questo è solo un piccolo assaggio della grande opera letteraria e teatrale, un capolavoro universale assoluto, del grande drammaturgo russo.
Il gabbiano, libri e l'immagine dello spettacolo al Piccolo di Milano sull'opera teatrale omonima
L’evento dedicato ad Anton Čechov si concluderà lasciando nel cuore di tutti un’eco profonda delle sue parole, delle sue storie e del suo sguardo penetrante sull’animo umano. Attraverso il teatro, la letteratura e il ricordo della sua straordinaria sensibilità, possiamo riscoprire la modernità del suo pensiero, la delicatezza del suo umorismo e la struggente malinconia che permea le sue opere.
Čechov ci insegna ancora oggi a osservare il mondo con ironia e compassione, a cogliere la bellezza nella fragilità della vita e a interrogarci sulle nostre speranze e illusioni. Che questo incontro sia non solo un omaggio, ma un invito a rileggere le sue opere con occhi nuovi, trovando in esse quel riflesso della nostra stessa esistenza che solo i grandi autori sanno donarci in viaggio nella poesia e nella profondità dell’animo umano.
L'ingresso è gratuito, è richiesta la pre-registrazione: https://forms.gle/BcTJDVh1cNKsbWXP7
Casa Russa a Roma – Piazza Benedetto Cairoli, 6
Si prega di esibire un documento d’identità all’entrata.

Comments