Biennale di Venezia - Il Libano si presenta denunciando l'ecocidio
- Patrizia Boi
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Patrizia Boi (Assadakah News) - Sotto il cielo di Venezia, dove l'acqua riflette palazzi secolari, un sussurro giunge dal Libano, un canto di terra ferita ma non dimentica. Quattro giovani menti, il Collective for Architecture Lebanon (CAL) – Shereen Doummar, Edouard Souhaid, Elias Tamer e Lynn Chamoun – portano alla Biennale Architettura 2025 non un semplice padiglione, ma un'utopia vibrante, un atto d'amore viscerale per la loro terra martoriata.
Dimenticate per un attimo la superbia del cemento, la fredda logica del costruito. Questi sognatori con gli occhi rivolti alle radici, prima ancora di innalzare muri, si inginocchiano sulla polvere, ascoltano il battito silente del suolo. Per loro, l'architettura non è un atto di dominio, ma una danza delicata con la natura, un tentativo di guarire le cicatrici profonde inferte da decenni di conflitti, urbanizzazione selvaggia e instabilità politica.

Immaginate un ministero che non si occupa di leggi astratte, ma dell'anima ferita del pianeta: il Ministero dell’Intelligenza della Terra. Un'istituzione fittizia, certo, ma carica di un'urgenza reale, un grido disperato contro l'ecocidio, la sistematica distruzione della linfa vitale del Libano. Il loro padiglione non è una sterile esposizione, ma un cuore pulsante di attivismo, uno spazio che costringe lo sguardo del visitatore sulla brutale realtà della devastazione ambientale intenzionale.
«Prima dell’architettura, esiste la terra», affermano con la forza di chi ha visto la propria casa sfigurata. E in questa primordiale verità radica la loro utopia: un futuro alternativo dove l'umano e il non-umano possano intrecciare destini di prosperità reciproca.
Il Libano, un lembo di terra intriso di storia e bellezza, è sull'orlo dell'oblio ecologico. Terreni che per millenni hanno nutrito la vita sono ora avvelenati, l'acqua e il suolo contaminati da metalli pesanti, dalle scorie di guerre insensate, dalla deliberata cancellazione di campi fertili e frutteti generosi.
Atti di ecocidio che hanno spazzato via intere comunità, trasformando paesaggi rigogliosi in lande desolate e inabitabili. L'ombra tossica del fosforo bianco che devasta vaste aree nel 2024 è solo l'ultimo, doloroso capitolo di questa tragedia.

Ma questi quattro giovani non si arrendono alla desolazione. Con la passione di chi crede ancora nella possibilità di una rinascita, strutturano il loro ministero utopico in quattro dipartimenti, quattro sentieri di speranza:
Il Dipartimento dei Rapporti sull’Ecocidio, un archivio dinamico delle ferite della terra, dove ogni atto di distruzione viene tracciato come una cicatrice da ricordare, un monito per il futuro.
Il Dipartimento di Contro-Mappatura, che sfida le narrazioni dominanti, riscrive le mappe del dolore, riporta alla luce i paesaggi cancellati, perché la memoria dei luoghi è la chiave per la loro guarigione.
Il Dipartimento delle Specie Endemiche, custode del DNA della terra, un santuario per i semi antichi, un baluardo contro l'oblio della biodiversità, perché la vita sappia resistere, adattarsi e rigenerarsi oltre i cicli di sfruttamento.
Il Dipartimento della Guarigione Strategica, un laboratorio di alchimia ecologica, dove le antiche saggezze indigene si fondono con le strategie di ripristino più innovative, riattivando i processi naturali per sanare le ferite profonde del pianeta.

«La Terra Si Ricorda» sussurrano questi giovani utopisti. Ci invitano a riscoprire la memoria ancestrale del suolo, le risorse vitali che ancora custodisce. Per proteggerle, dobbiamo ridefinire con urgenza il nostro rapporto con la natura, abbandonare la logica predatoria e abbracciare un'alleanza sacra con il vivente.
Il padiglione del Libano alla Biennale Architettura 2025 non sarà solo una mostra, ma un battito d'ali di speranza, un inno alla resilienza della terra e alla capacità visionaria di quattro giovani che, con la forza della loro passione, ci ricordano che prima di costruire sul mondo, dobbiamo imparare ad ascoltarlo, a curarlo, ad amarlo. La loro utopia è un seme piantato nel cuore di Venezia, con la fervida speranza di germogliare in una nuova consapevolezza globale.
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