Lelio A. Deganutti - Anwar Kalander, mamma italiana e padre kuwaitiano, è oggi un attore di successo, che si è formato con la scuola di tecnica di Ivana Chubbuck, grazie alla quale differentemente da metodi più usati (Stanislavskij etc), sfrutta l’esperienza personale di un individuo per farne un personaggio teatrale. Ha partecipato a diverse interpretazioni cinematografiche, prima fra tutte “All the money in the world” di Ridley Scott, e frizzanti commedie teatrali come “Tequila’’, ultima fatica del regista Igor Maltagliati.
Anwar Kalander, attore di origine kuwaitiana, come è nata la tua vita artistica?
“Sono italo-arabo, mamma è di Caserta mentre papà è del Kuwait, di origine iraniana. Mi sono trasferito a Roma circa venti anni fa, e nel 2009 ho iniziato a frequentare una scuola di recitazione con Yvonne D’abbraccio. E’ stata una delle esperienze più belle della mia vita, perché lì ho scoperto di poter essere un attore. Così ho iniziato a girare fictions, il mio primo set è stata la quinta stagione del Commissario Rex poi “Le tre rose di Eva 2’’. Nel corso degli anni ho perfezionato la tecnica, frequentando altre scuole come l’HT’ di Patrizia de Santis, poi divenuta la mia agente. Ho avuto l’onore di lavorare con Ridley Scott in “Tutti i soldi del mondo”, e di partecipare alla seconda stagione della fortunata serie “I medici’’. Ultimamente ho partecipato alla serie rai “Home sweet home’’ e alla serie che sta per uscire, Miss Fallaci’’.
Sei un amico del noto regista cinematografico, ma soprattutto teatrale, Igor Maltagliati. Parlaci della tua esperienza con lui.
“L’esperienza teatrale con Igor è stata fantastica. Essendo anche musicista, nello specifico chitarrista, non sono estraneo al palco e ogni volta che ci salgo sopra rivivo una magia che personalmente ha un ruolo catartico. Igor per me è un fratello, gli sono davvero riconoscente per avermi aperto le porte al teatro che mi risulta essere un’esperienza più frizzante e gioiosa dei set cinematografici”.
Che sensazioni hai provato quando ha conosciuto un regista internazionale del calibro di Ridley Scott?
“Quando mi è stato presentato, sono rimasto impietrito e non sono riuscito a dire niente limitandomi a stringergli la mano. Nel film avevo si un piccolo ruolo (il portiere di un palazzo) ma ho avuto l’onore di passare un’intera giornata con Mark Wahlberg. Il film che parla del rapimento di Paul Getty è stato girato a Roma e vede anche la partecipazione della nota attrice Michelle Williams. Attualmente ho ancora una stupenda amicizia con la costumista di Ridley, Janty Yates”.
Cambiando argomento, sei molto legato al paese di origine di tuo padre il Kuwait?
“Certamente, anche se il cinema che prediligo è quello occidentale, e quindi ho più interesse nel restare a Roma, per proseguire la carriera. In Kuwait quando ero più giovane ero un musicista e professore di chitarra classica, vivevo bene, ma l’amore per il cinema è stato così forte da farmi trasferire in pianta stabile. Non è forse un caso che Atella, dove si presume sia nato il teatro in Italia, non sia così distante dal paese natio di mia madre. Insomma, una sorta di ritorno alla matrice…”
Che ne pensi, da una prospettiva culturale e artistica, di tutti questi eventi che stanno stravolgendo lo scacchiere mediorientale e in definitiva il mondo?
“E’ molto triste tutto ciò che sta succedendo. Il problema è che noi viviamo in un mondo dove non è più permesso stare in pace. Siamo bombardati di queste informazioni drammatiche dalla mattina alla sera il tutto però contrapposto alla pubblicità (magari anche divertenti). E’ chiaro che questa contrapposizione di emozioni genera schizofrenia e quindi caos psichico. In tale contesto, il teatro ed il cinema (quelli ben fatti ovviamente) possono avere una funzione rigenerante e catartica sia per l’attore che per lo spettatore”.
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