Letizia Leonardi (Assadakah Roma News) - Mentre a livello nazionale e internazionale si parla di crisi energetica, ambientale e di guerra in Ucraina, gli armeni continuano a soffrire in silenzio. Per loro sarà un triste Natale perché in Artsakh, a confine con la Repubblica d'Armenia, le forze armate azere continuano a sparare. Il governo di Baku alza sempre più l'asticella delle provocazioni lungo la linea di contatto del Nagorno Karabakh. E lanciando granate spesso ci scappano morti e feriti. Ieri due soldati armeni sono stati colpiti e fortunatamente, questa volta, le loro condizioni non sono gravi. Spari dei soldati azeri sono proseguiti anche fino alle prime ore di oggi. Baku accusa l'esercito armeno di aver fatto fuoco contro le postazioni azere nei territori occupati di Shushi, Martuni, Martakert e le regioni Askeran dell'Artsakh, ma il Ministero della Difesa dell'autoproclamata Repubblica d'Artsakh ha immediatamente smentito definendola un ennesimo tentativo di disinformazione. Quelle dell'Azerbaijan sono continue violazioni di quell'accordo di pace firmato a fine 2020 e che è stato disatteso fin da subito, nonostante la presenza prevista fino al 2025, della forza di pace della Federazione Russa. Tre giorni fa il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto al suo omologo azero Ilham Aliev a sedersi al tavolo per un serio colloquio di pace, grazie alla mediazione del Cremlino e dell'Armenia ma il presidente Aliyev si permette di dettare le sue condizioni e ha dichiarato che non incontrerà il premier armeno Nikol Pashinyan a Bruxelles il prossimo 7 dicembre, perché non intende incontrare il presidente francese Macron che ha dimostrato vicinanza al popolo armeno e che è stato presente anche nell'incontro di Praga del 6 ottobre che ha portato ad un accordo per proseguire i colloqui tra le parti interessate, e nel quale, oltre al premier armeno Pashinyan e Aliyev, erano presenti il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e Macron.
Per Aliyev è stata inaccettabile e di parte la dichiarazione del presidente francese, che ha accusato l'Azerbaijan di aver iniziato una guerra terribile, con molti morti, e scene atroci. Il ministero degli Esteri di Baku ha immediatamente replicato che Baku sarebbe stata costretta a riconsiderare il ruolo della Francia nella mediazione per i colloqui di pace. Ricordiamo che nella guerra dei 44 giorni del 2020 si sono contate circa 6500 vittime, da entrambe le parti e migliaia di soldati con gravissime mutilazioni; l'Azerbaijan con le sue potenti armi e l'appoggio della Turchia, ha conquistato sul campo diversi territori del Nagorno Karabakh e nell'accordo di pace del novembre 2020, con la mediazione voluta dal presidente Putin, l'Armenia è stata costretta a cedere anche altre zone del conteso Nagorno Karabakh. Nonostante tutto violenze, provocazioni e attacchi azeri sono continuati. Il 13 settembre, oltre alla frontiera tra Armenia e Nagorno Karabakh, l’esercito di Baku ha invaso anche parte del territorio sovrano della Repubblica d’Armenia e ci sono state centinaia di vittime tra il silenzio della Comunità Internazionale, come se il territorio invaso dello Stato sovrano della piccola Repubblica caucasica, membro del Consiglio d’Europa, valga meno di quello dell’Ucraina che, al momento, non ha alcun legame formale con l’Unione Europea. Ma se l’Azerbaijan si dichiara disponibile a partecipare ai colloqui di pace, a patto che non ci sia Macron, allo stesso tempo aumenta la spesa per l’acquisto di armi. Questo dovrebbe essere considerato un preoccupante campanello d’allarme che non dovrebbe essere ignorato. L’Azerbaigian spende ogni anno miliardi di dollari per armarsi sempre di più, grazie agli ingenti introiti della vendita di gas e petrolio. Intanto nella periferia di Baku c’è estrema povertà e cittadini che vivono in misere baracche o palazzi fatiscenti. Ancora una volta l’occidente si volta dall’altra parte e pur di avere gas e petrolio permette che siano calpestate sovranità territoriali e diritti umani.
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