Assadakah News
Il cyber attacco israeliano, recentemente condotto in Libano ci sgomenta. Al di là della sorpresa che una simile azione può suscitare per via della sua misteriosa e insolita modalità, è la spregiudicatezza dei suoi ideatori che ci sconcerta e spaventa al contempo, inducendo una sensazione di immanente vulnerabilità in ciascuno di noi quando in possesso di un dispositivo digitale.
In guerra si sa, si combatte. E si combatte l’avversario con tutti i mezzi possibili e disponibili pur di arrivare all’obiettivo che ci si è prefissati. Il che vale soprattutto in caso di difesa. Ma anche in guerra, strano che possa sembrare, esistono delle regole cui attenersi. Trattasi di norme affermatesi nel corso del tempo, sulla base del comportamento tenuto dalle parti combattenti che per generalità di adesione vengono ritenute “cogenti”. Si parla, infatti, in tal caso di “Diritto bellico”.
Molte di queste regole, come del resto ben noto, sono state codificate in convenzioni internazionali, altre (ben poche però) sono rimaste allo stato di norme consuetudinarie, ma pur sempre valide e di universale portata ed osservanza. Alla base di questo processo normativo, spontaneo o convenzionale che sia poco importa, esiste comunque un’esigenza etica di fondo: quella che l’atto di guerra, pur deprecabile sotto il profilo della violenza, debba soggiacere al dovere morale di rispettare l’incolumità dei soggetti civili, non combattenti, di evitare inutili danni a luoghi e strutture, come anche sofferenze alla popolazione inerme. L’atto di guerra, insomma, deve potersi realizzare con la identificazione dei bersagli legittimi, ovvero quelli funzionali alla condotta della guerra da parte del nemico. Una circostanza, quest’ultima, di massimo rilievo peraltro che dovrebbe rientrare in qualunque giudizio di valutazione per determinare la legittimità della violenza messa in atto.
In altre parole la guerra conosce e ha i suoi limiti! Limiti soggettivi, con riguardo alle persone, e limiti oggettivi con riferimento ai luoghi e alla natura dei bersagli.
Ne deriva, considerando il complesso della normativa (e valgono in proposito in via specifica le Convenzioni di Ginevra sulla guerra frutto di una codificazione di norme internazionali avviato già dalla metà del XIX secolo), un generale divieto di violenza contro la vita e l’integrità corporale delle persone estranee alle ostilità. Un dovere che implica necessariamente l’obbligo di identificare i combattenti e del pari gli obiettivi militari distinguendoli tutti da quelli civili. Esiste, dunque, sotteso a questo dovere, che è pur sempre riconoscibile, un principio di distinzione cui dovrebbe attenersi moralmente l’esecutore di un atto di guerra.
Orbene, dall’evidenza dei fatti, tutto questo è venuto a mancare nel recente attacco cibernetico condotto – come da più fonti si afferma – da parte israeliana. Sarà pur vero che l’obiettivo – non dichiarato, ma comunque chiaramente deducibile – sarà stato Hezbollah con tutti i suoi miliziani, ma la estensibilità dell’azione a tutta una gamma di soggetti non combattenti e soprattutto non identificabili - per via dell’ampia fruibilità dei dispositivi “cercapersone” – induce a ritenere l’azione dei servizi segreti israeliani (presunti artefici della micidiale manomissione degli apparecchi) del tutto illegittima e contraria ai più basilari principi di diritto bellico e umanitario.
Il bilancio dell’attacco è stato disastroso: in Libano e in Siria esplodono in simultanea migliaia di dispositivi causando almeno 18 morti e circa 4.000 feriti al momento, tra cui in gran parte gente comune, innocente, perfino bambini. Trattasi di un atto di violenza indiscriminato in cui non si è tenuto conto non solo del principio di distinzione sopra citato, ma anche e più gravemente, delle basilari norme del Diritto umanitario. Un atto, l’attacco cibernetico, concepito dalla follia di una mente criminale che per modalità di esecuzione già di per sé si delegittimizza per rientrare nella più deprecabile teoria dei crimini, quelli terroristici!
Israele non è nuova a tal genere di comportamenti che per modalità di esecuzione sostanziano, non solo la violazione della sovranità di altri Stati (nel caso specifico del Libano e della Siria), ma anche gli estremi di un crimine di Stato. Lo vediamo dall’azione a finalità stragiste condotta reiteratamente contro la popolazione civile palestinese a Gaza e in Cisgiordania, ma oggi ulteriormente confermata dall’attacco cibernetico col quale la Stella di David ha esteso l’utilizzo delle armi al campo digitale, in silenzio, senza farsi riconoscere, e senza per giunta distinguere i veri bersagli dai falsi. Un atto proditorio lo potremmo definire. Un atto non degno di chi si proclama dalla parte del diritto, e, riferendosi ai palestinesi, apertamente dichiara con parole surreali e oscene – e in totale disprezzo dell’umanità che dovremmo tutti per obbligo etico ricercare perfino nel nemico – di dover combattere contro “animali umani” ( così Yoav Gallant Ministro della Difesa israeliano). Ma questa non è guerra!
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