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Armenia - Speciali di Rai Scuola, "Sussurri", Genocidio e Diaspora

Aggiornamento: 3 feb

Scena tratta dal film La masseria delle allodole, Regia di Paolo e Vittorio Taviani (2007)
Scena tratta dal film La masseria delle allodole, Regia di Paolo e Vittorio Taviani (2007)

Patrizia Boi (Assadakah News) - Domenica 26 Gennaio 2025 è andato in onda in prima visione lo Speciale di Rai Scuola Sussurri, un documentario scritto da Pietro De Gennaro e Alessandro Greco, diretto dalla Regista Alessandra Peralta, Produttore Esecutivo Luigi Bertolo. Lo Speciale, incentrato sul genocidio e sulla successiva diaspora del popolo armeno, ne ripercorre le tappe storiche, a partire da quel lontano 1915 fino ad arrivare all'epoca attuale nella quale, per fortuna, si è ormai realizzata l'integrazione completa del popolo armeno nei paesi dove la diaspora l'ha condotto.

Dal film sul trovatore armeno Sayat Nova


Dalla telecamera attenta e appassionata della nostra Regista, attraverso le analisi di storici, sociologi e scrittori, ma anche e soprattutto mediante le testimonianze di uomini e donne di origine armena - di seconda, terza e quarta generazione - discendenti da coloro che hanno subito quei massacri, Sussurri si pone l'obiettivo di mostrare e far conoscere la tragedia di questo popolo agli studenti, ai giovani, ai cittadini disinformati, agli stessi armeni che ne hanno sentito i "racconti sussurrati" dai genitori ai figli, dai nonni ai nipoti, dagli anziani ai bambini, affinché ne serbassero una debole memoria, crescendo consapevoli ma felici nonostante la tragedia.


Questi "sussurri" nel documentario sono interpretati in modo suggestivo dall'attrice Irene Muscarà.

Sussurri
Sussurri

Gli artefici di questo lavoro hanno analizzato le diverse sfaccettature della cultura armena, dagli aspetti politici, sociali e familiari fino a quelli religiosi e culturali. Il documentario è un atto di coraggio che mira a svelare al grande pubblico un crimine - il primo genocidio della Storia - celato all'Umanità, per molti anni, dal "fragoroso silenzio" che ne ha attutito il grido, l'urlo, il fastidioso rumore. Sussurri si propone di dare voce e spazio a chi non desidera più far cadere la memoria in quell'assordante silenzio.

Scena tratta dal film La masseria delle allodole, Regia di Paolo e Vittorio Taviani (2007)
Scena tratta dal film La masseria delle allodole, Regia di Paolo e Vittorio Taviani (2007)

Lo Speciale si apre con un'immagine del processo per i crimini contro il popolo armeno dopo la fine della guerra, descritto nel film (2007) di Paolo e Vittorio Taviani, tratto dal libro di Antonia Arslam, La Masseria delle allodole. Ricorda un processo relativo a un altro grande "Genocidio", a tutti noi italiani ormai noto. Il militare al banco degli imputati afferma:


«Negano la verità, ma io ho visto, con i miei occhi, l'eccidio [...], i sopravvissuti alla fame, alla sete e alla fatica furono massacrati tutti [...]».

Gli Armeni sopravvissuti... Furono massacrati tutti!!
Gli Armeni sopravvissuti... Furono massacrati tutti!!

La prima testimonianza che viene portata nel documentario è quella di Sonya Orfalian, scrittrice, apolide, rifugiata, figlia della diaspora armena, nata cinquant’anni fa in Libia, che ha dedicato una grande parte del suo impegno e della sua ricerca al ricchissimo patrimonio culturale e alle tradizioni antiche della sua gente.

Sonya Orfalian, scrittrice, apolide, rifugiata, figlia della diaspora armena
Sonya Orfalian, scrittrice, apolide, rifugiata, figlia della diaspora armena

La Scrittrice racconta come, nelle famiglie della diaspora armena, il genocidio armeno non venga mai discusso apertamente. Nessuno parla a voce alta di ciò che è accaduto. Esiste un termine armeno, USHÈR, che significa "sussurri", simbolizzando come gli adulti parlino a bassa voce per evitare che i bambini ascoltino gli orrori del passato. Tuttavia, i bambini, con le loro orecchie attente, captano questi sussurri, creando così quella che una studiosa del genocidio ha definito "il fragoroso silenzio", un silenzio che, pur nel suo muto peso, grida.

Rupen Timurian, il decano della comunità armena di Bari, noto per il suo ruolo di custode delle tradizioni armene in Italia
Rupen Timurian, il decano della comunità armena di Bari, noto per il suo ruolo di custode delle tradizioni armene in Italia

Il secondo intervistato che compare nel documentario è Rupen Timurian, il decano della comunità armena di Bari, noto per il suo ruolo di custode delle tradizioni armene in Italia. Figura di riferimento per la diaspora armena, ha contribuito a mantenere vivo il patrimonio culturale e storico della sua comunità nella regione pugliese. Rupen afferma:


«Ci hanno parlato sempre di amore, di disponibilità verso il prossimo, di essere perfetti e corretti con tutta l'umanità».

Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origini armene, nota per il suo impegno nella narrazione del genocidio armeno
Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origini armene, nota per il suo impegno nella narrazione del genocidio armeno

Naturalmente non poteva mancare tra gli intervistati Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origini armene, nota per il suo impegno nella narrazione del genocidio armeno. Tra le sue opere più celebri spicca come già detto La masseria delle allodole, un romanzo che racconta la tragedia del popolo armeno attraverso una toccante saga familiare. La sua scrittura unisce memoria storica e sensibilità poetica.


La Arslan ci spiega come la dimensione armena fosse ancora latente dentro di sé finché leggendo un poeta armeno, chiamato Daniel Varoujan, è riemersa in lei quella parte sconosciuta che giaceva inascoltata dentro di lei. 


Daniel Varoujan (1884-1915) è stato un poeta armeno, uno dei più significativi del movimento letterario armeno moderno. La sua poesia, intrisa di passione e di una profonda connessione con la cultura armena, trattava temi di libertà, amore e la sofferenza del suo popolo. Varoujan fu vittima del genocidio armeno, ma la sua eredità poetica continua a vivere attraverso le sue opere. Ed è stata fondamentale per la nostra scrittrice, per far riemergere quella parte che prima forse era solo un sussurro.


Il documentario ci mostra i testimoni uno dopo l'altro e ad ognuno fa raccontare un pezzetto di storia, mostra allo spettatore frammenti, frammenti che sussurrano dentro la propria identità annientata in un tempo ormai lontano.


Dopo queste prime testimonianze, entra in scena lo storico che unisce i frammenti che spesso ai nostri testimoni potevano sembrare senza senso, ripesca i sussurri, e li ascolta a voce alta, ormai il vaso di pandora è scoperchiato e bisogna andare dentro alla storia.

Marcello Flores D'Arcais, un accademico e storico che ha svolto un importante ruolo nella ricerca sui genocidi e nella difesa dei diritti umani
Marcello Flores D'Arcais, un accademico e storico che ha svolto un importante ruolo nella ricerca sui genocidi e nella difesa dei diritti umani

Marcello Flores D'Arcais, un accademico e storico che ha svolto un importante ruolo nella ricerca sui genocidi e nella difesa dei diritti umani, è noto per il suo lavoro di ricerca sulla memoria storica, in particolare riguardo al genocidio armeno e ad altri crimini contro l'umanità. Ha scritto numerosi saggi, contribuendo alla diffusione della consapevolezza su questi temi cruciali. E ci narra la storia di quanto è realmente accaduto.


Nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, l'Impero Ottomano, guidato dal governo dei Giovani Turchi, avviò lo sterminio sistematico della popolazione armena. Considerati una minaccia interna, gli armeni furono deportati dalle loro case verso i deserti della Siria, in marce forzate senza cibo né acqua.


Centinaia di migliaia morirono di fame, sete e stenti, mentre altri furono massacrati dai soldati ottomani e da milizie irregolari. Le case armene furono saccheggiate, le chiese distrutte, le donne violentate e i bambini uccisi o islamizzati con la forza. Si stima che oltre 1,5 milioni di armeni siano stati sterminati.


Alla fine della guerra, i responsabili non furono mai puniti, e la Turchia moderna continua a negare ufficialmente il genocidio. La diaspora armena, dispersa tra Europa, Medio Oriente e Americhe, ha tramandato il ricordo di questa tragedia, spesso in sussurri, per paura o dolore. Ancora oggi, la memoria del genocidio armeno è una ferita aperta, un monito contro l’oblio e l’indifferenza.


Flores ci spiega che, nel 1915, la parola "genocidio" non esisteva ancora. Fu Raphael Lemkin, un giurista ebreo-polacco, ad inventare del termine "genocidio".


Lemkin, profondamente colpito dalla Shoah e dal genocidio armeno, coniò il termine "genocidio" nel 1944, combinando la parola, derivante dal greco γένος (ghénos, "razza", "stirpe") e dal latino caedo ("uccidere"), per definire l'intenzionale distruzione di un gruppo etnico o culturale. La sua spinta a definire legalmente il genocidio ha portato alla Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del genocidio nel 1948.

Charles Aznavour, nome d'arte di Shahnourh Varinag Aznavourian, cantautore, attore e diplomatico francese di origine armena
Charles Aznavour, nome d'arte di Shahnourh Varinag Aznavourian, cantautore, attore e diplomatico francese di origine armena

Improvvisamente si torna indietro nel tempo, nel senso che pur mantenendosi nella contemporaneità, il documentario ci mostra il video di una vecchia intervista a un famoso personaggio che ci ha lasciato nel 2018, Charles Aznavour, nome d'arte di Shahnourh Varinag Aznavourian (in armeno: Շահնուր Վաղինակ Ազնավուրյան), il cantautore, attore e diplomatico francese di origine armena che tutti abbiamo conosciuto e amato per la sua voce tenorile vibrata, che un critico musicale ha descritto come una "divinità del pop francese".


In questa intervista Aznavour racconta:


«Mia madre ha pianto tutta la vita, perché nel genocidio ha perso suo padre, sua madre, sua sorella e i suoi due fratelli. Lei si è salvata, aveva 15 anni».

Armenia
Armenia

La madre è venuta da Adanazari, il padre dalla Georgia, da Tiflis, si sono incontrati a Istanbul e sposati lì. Adanazari è una città situata nel nord-ovest della Turchia, nella regione di Marmara. È la capitale della provincia di Sakarya ed è un importante centro industriale e agricolo, con una rilevante storia culturale, conosciuto per la sua posizione strategica tra Istanbul e Ankara.


Tbilisi (spesso scritto anche come Tiflis in passato) è la capitale e la città più grande della Georgia, situata nel Caucaso meridionale, circondata da montagne. Ha una storia che risale a più di 1.500 anni ed è famosa per la sua architettura unica che mescola stili antichi e moderni, i suoi vicoli pittoreschi e una ricca tradizione di arte, musica e cucina.


E prosegue Marcello Flores spiegando che ci sono trecentomila gli armeni che riescono a fuggire in altri paesi riempiendo Europa, Medioriente e Nord America di profughi.


Armeni su una nave
Armeni su una nave

Sonya Orfalian quindi riprende il testimone per raccontare la storia della sua famiglia che riflette quella di molte famiglie armene della diaspora. Suo bisnonno, coinvolto in una lotta di autodifesa a Urfa, fu imprigionato e deportato in Libia insieme ad altri uomini, mentre le donne della famiglia rimasero a Urfa, senza ulteriori notizie. La deportazione mirava a estirpare il "seme armeno" dalle terre d’origine. In Libia, allora colonia ottomana, il bisnonno fu liberato dopo l’arrivo degli italiani nel 1911, iniziando una nuova vita in un paese sconosciuto.

Solidarietà
Solidarietà

Flores spiega come l'eliminazione degli uomini avvenisse quasi sempre tramite fucilazione immediata, mentre la deportazione causava la morte principalmente degli anziani, delle donne e dei bambini. Le donne subivano ripetute aggressioni sessuali, spesso seguite dalla loro uccisione. I bambini, invece, venivano in parte uccisi, in parte inviati nei campi e in parte affidati a famiglie turche affinché fossero cresciuti nella fede musulmana e nella tradizione nazionalista turca.

Dal film sul trovatore armeno Sayat Nova
Dal film sul trovatore armeno Sayat Nova

Quando la famiglia Orfalian, composta solo da maschi (il padre e tre figli), arriva in Libia, il padre resta incarcerato nelle carceri turche, mentre i figli, tra cui il nonno - che all'epoca aveva 12 anni - trovano impieghi grazie alle loro abilità artigianali nel lavorare il rame.

Agop Manoukian, un sociologo, comasco d’adozione, noto per il suo impegno culturale e sociale, Presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia
Agop Manoukian, un sociologo, comasco d’adozione, noto per il suo impegno culturale e sociale, Presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia

Agop Manoukian, un sociologo, comasco d’adozione, noto per il suo impegno culturale e sociale, Presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia, che ha ricevuto il Premio Internazionale Empedocle per il suo contributo alla conoscenza e valorizzazione della cultura armena e al dialogo tra le comunità, spiega che in Italia ci sono Armeni per tanti secoli, ma dal 1900 si segnala una presenza distribuita di armeni da Torino fino a Venezia.

Isola di San Lazzaro degli Armenia a Venezia
Isola di San Lazzaro degli Armenia a Venezia

A questo punto viene intervistato Padre Hamazasp Keshishian, monaco mechitarista armeno che risiede presso il monastero dell'Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia. I monaci mechitaristi, appartenenti a un ordine apostolico armeno fondato nel XVIII secolo, sono noti per il loro impegno nella preservazione e promozione della cultura armena. Padre Hamazasp è uno dei dodici monaci che attualmente vivono sull'isola, dove si dedicano a studi teologici, attività culturali e alla gestione di una ricca biblioteca di manoscritti armeni. Recentemente, ha espresso preoccupazione per la situazione nel Nagorno Karabakh, sottolineando il rischio di pulizia etnica e l'importanza di proteggere la popolazione armena nella regione.

Padre Hamazasp Keshishian, monaco mechitarista armeno che risiede presso il monastero dell'Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia
Padre Hamazasp Keshishian, monaco mechitarista armeno che risiede presso il monastero dell'Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia

Mekhitar di Sebaste (1676-1749) fu un monaco armeno, teologo e fondatore dell’Ordine Mekhitarista. Nato a Sebaste (l’odierna Sivas, in Turchia), entrò giovanissimo in monastero, spinto dal desiderio di approfondire la cultura e la spiritualità armene. Deluso dall’arretratezza dell’educazione religiosa del tempo, sognò di riformare il monachesimo armeno attraverso lo studio, la preghiera e la diffusione del sapere.


Nel 1700, con un gruppo di seguaci, si trasferì a Costantinopoli, ma l’ostilità delle autorità ottomane lo costrinse a cercare rifugio altrove. Dopo varie peregrinazioni, trovò protezione a Venezia, dove nel 1717 gli fu concesso di stabilirsi sull'isola di San Lazzaro degli Armeni. Qui fondò l'Ordine Mekhitarista, una congregazione monastica dedita alla ricerca, alla traduzione e alla pubblicazione di testi sacri e letterari armeni.


Grazie alla sua guida, l’isola di San Lazzaro divenne un centro culturale straordinario, contribuendo alla rinascita dell’identità armena in esilio. I mekhitaristi si distinsero nella conservazione della lingua, della storia e della spiritualità del popolo armeno, pubblicando opere fondamentali come dizionari, grammatiche e traduzioni di testi classici.


Mekhitar morì nel 1749, lasciando un’eredità culturale e spirituale ancora viva oggi. Il suo ordine continua a custodire e diffondere il patrimonio della civiltà armena nel mondo.

L'espressione drammatica di Rupen Timurian
L'espressione drammatica di Rupen Timurian

Anche Rupen Timurian racconta come arrivarono un centinaio di armeni che non potevano tutti alloggiare nel villaggio Nor Arax perchè era troppo piccolo. Narra anche come la sofferenza (che mostra istantaneamente nel volto, come si percepisce dalla foto) si era trasformata in amore perché erano stati accolti e avevano anche potuto studiare.


Ma come era nato questo Villaggio di Nor Arax in Puglia?


L'intervista di un altro personaggio, Carlo Coppola, ci svela la storia di Nor Arax, villaggio creato grazie all'impegno di un poeta.

Carlo Coppola, Ambasciatore della Memoria del Genocidio Armeno in Italia
Carlo Coppola, Ambasciatore della Memoria del Genocidio Armeno in Italia

Coppola è uno studioso italiano, esperto di cultura e letteratura armena, Ambasciatore della Memoria del Genocidio Armeno in Italia. Nato a Bari, si è dedicato alla ricerca sulla storia degli armeni, con particolare attenzione alla figura di Hrand Nazariantz, poeta armeno rifugiato in Italia dopo il genocidio del 1915.


Coppola ha scritto numerosi articoli e saggi per diffondere la conoscenza del patrimonio culturale armeno e promuovere il dialogo interculturale. È inoltre coinvolto in iniziative accademiche e culturali legate alla comunità armena in Italia.


Egli racconta la storia di Hrand Nazariantz, nato a Costantinopoli nel 1886. A causa delle persecuzioni contro gli armeni nell'Impero Ottomano, si trasferì in Italia, stabilendosi a Bari. Venne in Italia al seguito della propria moglie Maddalena De Cosmis originaria della Puglia, e questo trasferimento gli permise di sfuggire al genocidio armeno del 1915.


In Italia, Nazariantz si prodigò affinché un vecchio lanificio in crisi accogliesse gli armeni che a loro volta potessero rilanciare il settore essendo abili tessitori di tappeti. Fu ribattezzato Nor Arax  da Arasse, il nome del fiume che scorre alle pendici del monte Ararat.


Carlo Coppola, studioso italiano, ha approfondito la vita e le opere di Nazariantz, in quanto presidente del centro Studi Hrand Nazariantz, evidenziando il suo ruolo nella diaspora armena e la sua attività letteraria in Italia.

La giornalista e ricercatrice Siranuh Quaranta
La giornalista e ricercatrice Siranuh Quaranta

La giornalista e ricercatrice Siranuh Quaranta spiega come nel 1924, Nazariantz avesse fondato "Nor Arax", un insediamento armeno nella campagna barese, con l'obiettivo di offrire rifugio e opportunità economiche agli armeni sopravvissuti al genocidio. Il villaggio divenne un centro di produzione di tappeti orientali e merletti, contribuendo allo sviluppo economico della regione e preservando le tradizioni artigianali armene.


Siranuh Quaranta è anche una delle proprietarie del villaggio Nor Arax, e proprio nella sua proprietà si sono svolte alcune interviste dove si narra di come sia avvenuto l'arrivo della sua famiglia, i Timurian, a Bari nel 1924. Collabora assiduamente con il prof. Carlo Coppola e ultimamente ora pure con il Consolato onorario della Repubblica di Armenia in Bari, di cui è Console Onorario Dario Rupen Timurian. Ha partecipato a vari convegni e seminari incentrando i suoi interventi sul genocidio e sul villaggio Nor Arax.

Un lavorante su un tappeto armeno
Un lavorante su un tappeto armeno

Insomma il poeta riesce a recuperare e sviluppare un settore importante dell'economia nazionale armena.

"Nor Arax", un insediamento armeno nella campagna barese
"Nor Arax", un insediamento armeno nella campagna barese

Questi tappeti si distinguono per l'uso di materiali naturali di alta qualità, come lana e cotone, e per l'impiego di colori vegetali che conferiscono tonalità vivaci e durature. I disegni sono caratterizzati da motivi geometrici e floreali stilizzati, spesso ispirati a simboli tradizionali armeni.


La tecnica di annodatura, tramandata di generazione in generazione, garantisce la robustezza e la longevità dei tappeti. Ogni regione dell'Armenia ha sviluppato stili distintivi, influenzati dalla storia e dalla cultura locale. Ad esempio, i tappeti del Karabakh sono noti per i loro motivi audaci e i colori intensi.


La fama dei tappeti armeni è dovuta alla loro capacità di unire estetica e funzionalità, rappresentando un patrimonio culturale che ha influenzato e arricchito le tradizioni tessili di molte altre regioni.

La pittrice e ricercatrice Kaianik Adagian
La pittrice e ricercatrice Kaianik Adagian

Gli autori hanno anche intervistato la pittrice e ricercatrice Kaianik Adagian che proviene proprio dal villaggio "Nor Arax" e che racconta come si tessevano i tappeti, suo nonno creava la trama del tappeto e sua nonna tesseva...


Inoltre i suoi genitori sono rimasti come custodi del villaggio, un'antica memoria, un territorio sacro che ha visto piangere uomini, donne e anziani che erano stati "violentati nella loro dignità".


Una caratteristica degli armeni anche durante la diaspora è quella di andare sempre alla ricerca di una chiesa, una comunità cristiana con cui condividere la loro spiritualità.


Come spiega Padre Hamazasp Keshishian, la nazione armena fu la prima ad adottare il cristianesimo come religione di Stato grazie a San Gregorio l’Illuminatore, che convertì il re Tiridate III e, attraverso di lui, l’intero popolo armeno. Dal V secolo, la Chiesa armena si separò da quella romana, pur mantenendo nei secoli importanti contatti con la Chiesa occidentale, soprattutto in epoca medievale. Durante il regno armeno di Cilicia, vi furono persino tentativi di unione con la Chiesa romana.

La chiesa armena, canti, messa, fedeli


Dopo il Concilio di Calcedonia del 451 d.C., infatti, la Chiesa Armena non accettò le decisioni conciliari, portando a una separazione dalle altre chiese cristiane.


Durante il Regno Armeno di Cilicia (1080-1375), ci furono tentativi di riavvicinamento e unità con la Chiesa Romana, soprattutto nel periodo delle Crociate, ma tali sforzi non portarono a una unione duratura.


La Chiesa armena è portatrice di una sua storia, dopo più di mille anni è rimasta identica, ha mantenuto la sua integrità.

Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma, centro della Chiesa Armena Cattolica a Roma
Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma, centro della Chiesa Armena Cattolica a Roma

A Roma la comunità armena frequenta la Chiesa di San Nicola da Tolentino che gli è stata concessa da Papa Leone XIII nel 1883. Questa chiesa, situata vicino a Via Veneto, originariamente apparteneva agli Agostiniani Scalzi, ed è stata affidata agli Armeni Cattolici per offrire loro un luogo di culto nella città eterna. Da allora, è diventato un punto di riferimento importante per la diaspora armena in Italia.


A Roma, la chiesa armena tradizionale è San Biagio degli Armeni, situata in via Giulia, nel rione Ponte. Conosciuta anche come San Biagio della Pagnotta, questa chiesa è stata affidata al clero armeno nel 1836 da papa Gregorio XVI ed è considerata la chiesa nazionale della comunità armena a Roma.


Una parola a parte merita il simbolo della croce armena che, come afferma sempre Padre Hamazasp Keshishian:


«...di solito viene presentata come l’albero della vita, cioè fiorita, senza Cristo come simbolo di risurrezione e queste croci sono scolpite su pietre, ma sono soprattutto espressione della fede cristiana e nello stesso tempo espressione dell’arte cristiana armena».


Il Khachkar (o Kačkar, in armeno Խաչքար, che si pronuncia "khachkar") è una tipica stele di pietra scolpita con una croce al centro, circondata da motivi decorativi e spesso da iscrizioni. Il termine deriva da "khach" (Խաչ), che significa "croce", e "kar" (քար), che significa "pietra", quindi letteralmente significa "pietra di croce".


I khachkar sono un elemento distintivo dell'arte e della cultura armena e hanno una forte valenza religiosa e commemorativa. Venivano eretti:


  • Come simboli di fede cristiana.

  • Per commemorare eventi importanti, come battaglie, costruzione di chiese, o per ricordare i defunti.

  • Per segnare luoghi sacri o di pellegrinaggio.


I khachkar hanno avuto origine nel IX secolo e hanno raggiunto il massimo splendore tra il XII e il XIV secolo. Ne esistono migliaia in Armenia e nella diaspora. Uno dei luoghi più famosi è il cimitero di Noratus, che ospita centinaia di khachkar.


Nel 2010, l'arte dei khachkar è stata riconosciuta dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, per la sua unicità e il suo valore simbolico.


Oggi, i khachkar continuano a essere scolpiti e utilizzati, rappresentando un forte legame tra il popolo armeno e la sua storia.

La Scrittrice Manuela Avakian, autrice del romanzo Una terra per Siran, pubblicato nel 2003 da Prospettiva Editrice
La Scrittrice Manuela Avakian, autrice del romanzo Una terra per Siran, pubblicato nel 2003 da Prospettiva Editrice

Nel finale del documentario viene intervistata anche la Scrittrice Manuela Avakian, autrice del romanzo Una terra per Siran, pubblicato nel 2003 da Prospettiva Editrice, che narra la storia di Siran, una donna di origine armena nata in Etiopia da profughi sopravvissuti al genocidio armeno. Negli anni Sessanta, Siran si trasferisce in Italia, ma sente sempre la mancanza della sua terra d'origine, l'Armenia. Il romanzo esplora temi di sradicamento e ricerca identitaria, rendendo omaggio al nonno materno dell'autrice, Cricor, sopravvissuto al genocidio.


Rammentiamo che prima degli anni '60 in Armenia sovietica, la parola "genocidio" non poteva essere pronunciata pubblicamente, né si poteva apertamente commemorare il massacro degli Armeni del 1915. L'Unione Sovietica, di cui l'Armenia faceva parte, scoraggiava qualsiasi nazionalismo locale che potesse minare l'ideologia comunista e l'unità sovietica.


Solo nel 1965, con le grandi manifestazioni a Yerevan, la capitale dell'Armenia, per il 50° anniversario del genocidio armeno, si ebbe una svolta. Per la prima volta, migliaia di armeni scesero in piazza chiedendo il riconoscimento ufficiale della tragedia e la costruzione di un memoriale. Questo portò alla decisione del governo sovietico di erigere il complesso commemorativo di Tsitsernakaberd, inaugurato nel 1967, che divenne il principale luogo di memoria del genocidio in Armenia.


Da allora, il 24 aprile è riconosciuto ufficialmente in Armenia e nella diaspora come giornata di commemorazione del genocidio armeno.


Il monumento alla memoria, un complesso commemorativo di Tsitsernakaberd, alla periferia di Yerevan


Il monumento alla memoria di Tsitsernakaberd, alla periferia di Yerevan, è un complesso composto da diversi elementi simbolici:


Il Viale delle Piaghe - Un lungo viale che porta al monumento principale, circondato da 12 colonne, simboleggianti le province armene perdute durante il genocidio.


Il Monumento Centrale - Un obelisco inclinato di 44 metri che rappresenta la lotta per la sopravvivenza del popolo armeno. La forma inclinata simboleggia il dolore e la sofferenza che hanno segnato la storia degli armeni, ma anche la speranza di resistenza.


La Fiamma Eterna - Alla base dell'obelisco, una fiamma eterna brucia per ricordare le vittime del genocidio e rappresenta il fuoco della memoria che non si spegne mai.


La Sala della Memoria - Una sala sotterranea, dove si trovano le iscrizioni in diverse lingue, tra cui l'armeno, che commemorano le vittime. È anche un luogo per raccogliere i pensieri e le riflessioni di chi visita il sito.


Ogni anno, il 24 aprile, milioni di armeni e discendenti di armeni si radunano al memoriale per onorare le vittime del genocidio, specialmente il giorno della Commemorazione del Genocidio Armeno, come luogo di memoria, ma anche come simbolo della resistenza, della resilienza e dell'identità del popolo armeno, che continua a lottare per il riconoscimento ufficiale del genocidio da parte di molti paesi e della comunità internazionale.


Ma vorrei terminare questo articolo con alcuni versi del poema di Hrand Nazariantz che sia simbolo di pace e fratellanza per chiunque desideri che ogni popolo sia rispettato e incluso nella storia.

Ogni popolo sia libero di volare
Ogni popolo sia libero di volare

maggio 05, 2014

Dal poema "Essere Fratelli, Amare" di Hrand Nazariantz (versione originale dalle carte d Antonio Basso)


Tutto muore...Tutto passa...Essere Fratelli, Amare!


Essere Fratelli, dividere il Pane ed il Cuore,


il destino della Vita, il destino dell’Anima,


Essere Fratelli, dividere il sangue del cuore


il sangue dello spirito,


il profumo delle lagrime e l'incenso delle preghiere,


il calice la sorgente viva, la grazia degli dei,


i sogni e le rose: Essere Fratelli, Amare..!




[...]essere Fratelli, e non dire mai: “Venite domani!”



[...]E poi, chiudere gli occhi di carne per aprire quelli dello spirito....



(dal volume il Ritorno dei Poeti, casa editrice Kursaal 1952)




Qua sotto si può visionare il documentario scritto da Pietro De Gennaro e Alessandro Greco, diretto dalla Regista Alessandra Peralta, Produttore Esecutivo Luigi Bertolo, pubblicato su Raiplay:






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