Letizia Leonardi ( Assadakah Roma News) - Mentre il mondo ha gli occhi puntati sulla guerra Russia - Ucraina c'è un popolo che ricorda uno dei tanti massacri subiti. Il 27 febbraio del 1988 a Sumgait, nell'omonimo sobborgo industriale a nord della capitale dell'Azerbaigian, la popolazione azera, aizzata dal regime di Baku, iniziò una sanguinosa caccia all'armeno. Il bilancio dei morti è rimasto ufficioso ma è certo che ci furono moltissime vittime, barbaramente assassinate.
Secondo un resoconto ufficiale i morti furono trentadue e centinaia i feriti e di casi di violenza sessuale. Ma secondo alcune fonti il numero delle vittime sarebbe superiore a trecento, mentre il partito armeno Dashnak parla di quasi 1.500 morti.
Per due lunghissimi giorni bande armate di azeri assaltarono i quartieri degli armeni. Solo l'arrivo delle forze dell'ordine, la sera del 28 febbraio riuscì a porre termine all'aggressione. Da quel momento gli armeni si sentirono catapultati nel tragico 1915, anno di inizio del terribile genocidio e nulla tornò più come prima, nei rapporti tra armeni e azeri. Le due etnie non riuscirono più ad istaurare una convivenza leale e tranquilla.
Il pogrom di Sumgait è stato il prologo di una serie di aggressioni azere, anni dopo, nei confronti degli armeni del Nagorno Karabakh. Questo doloroso evento è strettamente collegato con la questione relativa al Nagorno Karabakh, poi sfociata nella guerra nel 1992 e in quella più recente del 2020 perché la propaganda anti armena, da parte dell'Azerbaijan, non è mai cessata. Il governo di Baku non ha mai accettato l'autoproclamazione di indipendenza dall'Azerbaijan, attraverso un pronunciamento democratico, così come previsto dalla legislazione sovietica. Il massacro di Sumgait è stato solo l'inizio di una escalation di violenze, di stragi contro gli armeni che vivevano in Azerbaijan: quella a Kirovabad, Baku e poi ancora durante la guerra del 1992-94. Un circolo vizioso di violenze e vendette che non si possono dimenticare perché in ballo non c'è solo la vita pacifica, le vite umane ma i principi di tolleranza e del diritto all'autodeterminazione dei popoli. Quella del Nagorno Karabakh (Artsakh per gli armeni) è una ferita che non si è mai rimarginata e che, dalla fine della guerra dei 44 giorni, iniziata, ancora una volta, con l'aggressione azera del 27 settembre 2020, ancora sanguina perché gli armeni hanno subito ogni cosa senza che la comunità internazionale abbia avuto qualche reazione.
Ma perché due popoli che convivevano pacificamente sono diventati improvvisamente nemici, tanto da far scorrere il sangue di innocenti a Sumgait, sulle coste del mar Caspio che, fino agli anni '60 aveva un terzo di abitanti di etnia armena? Perché nel frattempo è arrivata l'industrializzazione, l'estrazione del petrolio e la popolazione è notevolmente aumentata. Sono cominciati i sentimenti nazionalistici tra gli azeri e gli armeni iniziavano ad essere una spina nel fianco, oggetto di discriminazioni e angherie. Il 26 febbraio 1988 la radio nazionale azera comunicò la notizia, peraltro mai verificata, che due azeri erano stati uccisi da armeni ad Ağdam. A seguito di questa informazione, che con il linguaggio di oggi sarebbe potuta essere una fake, bande di estremisti azeri andarono nella zona abitata dagli armeni per uccidere. Ma non solo: devastarono case, negozi e violentarono donne.
Ci furono circa quattrocento arresti e ottantaquattro processi penali che, ella maggior parte dei casi, si conclusero con assoluzione o lievi condanne. Solo in un caso, quello di Aslam Ismailov, ci fu una condanna a quindici anni per assassinio premeditato....Eppure gli armeni non si sono uccisi e violentati da soli e nemmeno hanno distrutto essi stessi le proprie abitazioni e negozi. Anche allora il mondo si è voltato dall'altra parte ma oggi è il giorno del ricordo per chi non deve e non vuole dimenticare.
留言