Letizia Leonardi (Assadakah News) - Per il premier armeno Nikol Pashinyan è giunto il momento di una nuova rivoluzione. Dopo quella di velluto del 2018, che ha sbaragliato la vecchia classe politica filorussa e ha portato all'elezione del filo occidentale Pashinyan, l'Armenia rischia un altro e più incisivo cambiamento. Il capo del governo di Yerevan ha annunciato che l’Armenia lascerà l’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). Questa decisione estrema è stata giustificata dal fatto che sono emerse prove che la Bielorussia abbia armato l’Azerbaijan e che la disfatta armena del 2020 e del 2023 sia stata frutto anche di una trappola militare, fra armi non consegnate a Yerevan ma fornite al nemico azero. Pashinyan vuole, a questo punto, cacciare definitivamente i soldati russi e mira all'entrata dell'Armenia nell'Unione Europea. Una scelta azzardata se non dovesse avere tangibili, incontrovertibili e sicuri accordi con l'Occidente.
Scelta che, secondo Pashinyan, sarebbe stata obbligata perché sarebbe stata per prima l’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva ad abbandonare la piccola Repubblica Caucasica. La prova è stata la disfatta armena nella guerra del 2020, iniziata dall'Azerbaijan in Nagorno Karabakh.
Il premier armeno è convinto che il semaforo verde a Baku per attaccare l'Artsakh nel 2020 lo avrebbe dato proprio lo stesso Putin che, come in Georgia nel 2008, come in Ucraina nel 2014 e nel 2022, avrebbe cercato di rovesciare un governo non abbastanza filorusso. Durante il conflitto del 2020 infatti, Pashinyan aveva segnalato al presidente russo Vladimir Putin che l'Azerbaijan era andata oltre il territorio del Nagorno Karabakh e aveva già occupato alcuni territori della Repubblica d'Armenia. In questa circostanza la Russia sarebbe dovuta intervenire in soccorso dell'Armenia e contro Baku. Non è accaduto niente di tutto questo. Nulla è accaduto a seguito delle aggressioni e provocazioni azere dopo la firma di un provvisorio accordo di pace del novembre 2020 e neppure durante il blocco del corridoio di Lachin del dicembre del 2022, che doveva essere controllato dalle forze di pace della Federazione Russa e che sappiamo bene come è finito. Pashinyan accusa inoltre Putin di non aver consegnato agli armeni le armi richieste e pagate. Accuse forti dunque che hanno portato alla crisi prima e alla rottura poi, dei rapporti tra i due Paesi. A causa della vulneabilità dell'Armenia, abbandonata, di fatto, dalla Russia è stato semplice per Baku, nel settembre 2023, conquistare ciò che rimaneva del Nagorno Karabakh.
Da quel momento è stato un crescendo di atti ostili tra Armenia e Russia che ha portato ad un punto di non ritorno nelle già complicate e deteriorate relazioni tra i due Paesi.
A gennaio del 2023 l'Armenia ha rifiutato di ospitare le esercitazioni del CSTO sul proprio territorio e a settembre dello stesso anno ha ospitato quelle con gli Stati Uniti. Non è stato certo gradito l'avvicinamento di Yerevan a Kiev con l'invio di aiuti umanitari e neppure lo smantellamento dei presidi russi nel territorio armeno, tra questi, quello delle guardie di frontiera russe che sono state eliminate nell'aeroporto Zvarnots di Yerevan.
A tutto questo si aggiunge l'avvicinamento della Repubblica d'Armenia all'Unione Europea e il crollo degli acquisti di armi dalla Russia, che sono scesi dal 90% al 10%. Yerevan ha individuato infatti tra i nuovi partner, per il rifornimento delle armi, l'India e la Francia.
Ma se a livello estero la situazione è abbastanza complessa, all'interno Pashinyan ha non pochi problemi. L'opposizione infatti, spalleggiata da Mosca, cerca di tornare all’Ancient Régime pre-rivoluzione di velluto con una nuova classe politica. Il primo ministro, dopo la pandemia, le due guerre perse e una transizione in corso estremamente difficile, non è più l’eroe della rivoluzione e subisce continue e incessanti manifestazioni di protesta da parte della popolazione.
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