Maria Antonietta Marino
L’incontro con il dott. Arman Tatoyan, Difensore dei Diritti Umani dell’Armenia, è risultato proficuo e di grande interesse anche per le riflessioni di carattere storico-culturale da esso scaturite. Il dott. Tatoyan si batte per il riconoscimento dei diritti della popolazione armena che si trova nei confini attuali dell’Azerbaijan. Come fa giustamente notare, anche l’eredità storico-artistica e culturale di questa regione non è in minore pericolo.
Chiesa di Gandzasar, XIII sec.
La questione ha radici storiche e risale allo sgretolamento dell’Unione Sovietica e al disegno di confini che non sempre rispecchiano i gruppi etnici presenti. La regione di Artsakh o Nagorno-Karabakh, una grande area ad ovest dell’Azerbaijan e ad est dell’Armenia, è popolata da armeni da tempi lontani. Come spesso accade all’interno di vasti imperi, come poteva essere quello ottomano o la Russia sovietica, gruppi etnico-linguistici possono trovarsi in posizione non contigua. Questo è ancora più vero nel Medio Oriente, che avendo sempre avuto una vocazione commerciale è sempre stato un territorio fluido in cui le genti si spostavano facilmente. La creazione di rigidi confini nazionali, avvenuta per molti paesi moderni dell’area solo nel Novecento e ad opera di potenze straniere, non rispecchia la storia di questi territori.
L’Armenia, per un lungo periodo storico, fu molto più estesa rispetto a quella attuale. Una parte del suo patrimonio artistico si trova oggi in Turchia e in Azerbaijan, e, in misura minore, in Iran. La città di Ani, ad esempio, una delle più splendide città medievali dell’Armenia conosciuta con l’appellativo di “città dalle 1001 chiese”, si trova oggi in territorio turco. Un monaco inglese di nome Mettheus Paris realizzò verso la metà del XIII sec. una mappa della Terra Santa in cui l’Armenia è simboleggiata dall’Arca di Noè sulle due cime del monte Ararat, affermando nel testo che essa si estende fino all’India. Evidentemente riferendosi alle rotte commerciali che la collegavano all’Oriente, nondimeno fa cenno all’ampiezza dei suoi territori. La Biblioteca Universitaria di Bologna conserva una magnifica mappa dell’Armenia del XVII secolo, detta Tabula Chorographica Armenica. Il conte Luigi Ferdinando Marsili, personaggio rocambolesco della fine del Seicento, militare e appassionato di scienze naturali, che scorrazzava fra mille avventure tra Balcani e Turchia, fece realizzare la mappa al letterato, storico, geografo e poeta armeno Eremia Chelebi Komurdjian, conosciuto durante un viaggio a Costantinopoli, nel 1691. La mappa, lunga più di tre metri, illustra circa 800 luoghi sacri armeni, dislocati in un territorio vastissimo.
L’Armenia è un miracolo storico: paese conteso tra Romani e Persiani, Bizantini e Selgiuchidi, Ottomani e Safavidi, è sempre riuscito a mantenere una sua indipendenza linguistica e culturale. Primo paese ad adottare ufficialmente il cristianesimo nel 301, quindi prima dell’Occidente romano, divenne nel Medioevo il punto di passaggio del ricco commercio della via della seta. I confini della “Grande Armenia” andavano dal Mar Nero al Mar Caspio e si allargavano a sud-ovest dal lago Sevan fino al lago Van. Per un certo periodo persino la Cilicia, regione sulle sponde del Mediterraneo (oggi in Turchia al confine con la Siria), fu armena. Nonostante la conquista di gran parte del Medioriente da parte dei turchi selgiuchidi, che attraversarono i territori armeni per poi conquistare l’Anatolia, l’Armenia rimase fondamentalmente armena. Non solo, importanti e ricche comunità di armeni vivevano in tutto il mondo islamico e occidentale. Grandi commercianti, ma anche grandi letterati, furono la comunità prediletta alla quale si rivolgevano gli europei che volevano fare affari nei territori dell’impero ottomano e safavide. Nel Seicento li troviamo già in tutte le grandi capitali d’Europa. Come nel ritratto che gli fece il pittore inglese Allan Ramsay, il noto filosofo Jean-Jacques Rousseau amava farsi ritrarre in abiti armeni, con un gran copricapo in pelliccia. L’Armenia era probabilmente più nota allora che oggi. Con la fine dei grandi imperi mediorientali, finì anche un periodo di grande tolleranza e multietnicità. L’episodio del genocidio armeno durante la prima guerra mondiale è una delle più tristi pagine della storia mediorientale. Dopo secoli di convivenza, l’impero ottomano, sotto pressione e ormai agli sgoccioli, sfoga la sua rabbia su una popolazione che vedeva vicina alla Russia e alle potenze occidentali, le quali si stavano già spartendo i suoi territori.
Area archeologicia di Tigranakert-Artsakh
L’area geografica di Artsakh o Nagorno-Karabakh era parte integrante dell’Armenia precristiana, come di quella medievale e moderna. Vi si trovano le rovine di Tigranakert-Artsakh, importante città ai piedi delle colline che digradano verso le steppe, probabilmente fondata dal potente re dell’Armenia Tigrane nel I sec. a.C., e scoperta solo recentemente nel 2005. La città ebbe una lunga vita e le rovine di svariate chiese basilicali testimoniano che la sua occupazione si protrasse in età paleocristiana. Il direttore degli scavi, prof. Hamlet Petrosyan, ha allertato la comunità internazionale sulle sorti della città che si è trovata nel 2020 in territorio di conflitto armato tra le forze armene e l’esercito azero.
Questa contesa area geografica è costellata da centinaia di monumenti cristiani, tra basiliche, monasteri, mausolei, khachkars (stele in pietra decorate solitamente da croci, tipiche dell’arte armena) edificati a partire dal IV secolo, come ad esempio l’antico mausoleo di San Grigoris ad Amaras. Recentemente restaurata, la basilica a tre navate di Tzitzerrnavanq costituisce uno dei migliori esempi dell’architettura religiosa armena e possiede un grande valore culturale e paesaggistico. Tra XI e XIII sec., grosso modo in epoca selgiuchide, l’Armenia vede uno sviluppo dei commerci e un aumento della ricchezza che si traduce in un fiorire di monumenti. Vengono fondati i grandi monasteri medievali, come quello di Dadivanq che è, per dimensioni e importanza storica, uno dei maggiori esempi di tutta l’Armenia. Qui si trovavano gli scriptoria dove venivano copiati e illuminati splendidi manoscritti. Di recente sono stati restaurati gli eleganti affreschi del XIII sec. d’ispirazione bizantina che decorano la chiesa principale.
Affreschi del monastero di Dadivanq, XIII sec.
Non mancano le chiese a cupola su pianta centrale così tipiche dell’architettura armena: la chiesa di Gandzasar, ottimamente conservata e ricca di decorazioni scultoree, mostra la caratteristica cupola ad ombrello che poi si diffonderà nell’architettura selgiuchide e che verrà usata soprattutto per i mausolei, di cui forse l’esempio più noto è la cosiddetta “tomba di Rumi” a Konya. Essendo la società e la cultura dell’epoca molto fluida, anche le forme architettoniche si diffondono facilmente, tant’è vero che osserviamo lo stesso tipo di cupola nei mausolei yazidi, alcuni dei quali negli ultimi anni sono stati oggetto di atti vandalici da parte dei combattenti dell’ISIS. Si possono notare le interconnessioni tra architettura armena e islamica anche nell’uso dei muqarnas (decorazione ad alveoli) nel nartece della chiesa di Gandzasar. Le somiglianze tra architettura armena e selgiuchide sono molte e abbiamo testimonianza di architetti armeni che lavoravano per ambedue le committenze.
Forme di sincretismo nell’arte dimostrano spesso il grado di tolleranza di una società. L’Armenia è stata un punto di passaggio tra Oriente ed Occidente sia fisicamente, per le vie commerciali che vi passavano, sia a livello religioso e culturale poiché qui s’incontravano etnie, religioni, lingue diverse.
In questo contesto i monumenti di Nagorno-Karabakh hanno una valenza non solo per la cultura armena a cui indubbiamente appartengono, ma sono testimonianza di un periodo storico entusiasmante e fecondo in cui i confini non erano poi così netti e le idee, le conoscenze, gli stili, viaggiavano senza troppi ostacoli. La tutela di questi monumenti è una responsabilità collettiva, a prescindere dai governi al potere e dai confini nazionali.
Cimitero medievale armeno di Julfa, oggi scomparso
Ricordiamo il desolante caso di Julfa, città armena nella regione di Nakhichevan che, come Nagorno-Karabakh, fu alla fine dell’impero sovietico accorpata all’Azerbaijan. Negli anni Novanta milizie azere rasero al suolo il cimitero medievale armeno di Julfa, dove si conservavano antichi khachkars e interessantissime sculture (di cui rimangono ormai solo vecchie fotografie). Memori di questo triste episodio, ci auguriamo che l’eredità culturale armena di quest’area così ricca di splendidi monumenti non venga dimenticata o ancora peggio cancellata.
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