
Patrizia Boi (Assadakah News) - Venerdì 14 febbraio 2025 è stato presentato al Carrè Monti il romanzo Le dernier Mouchoir de Charles Aznavour in lingua francese di Pascale Lora Schyns.
All'incontro era presente il Console generale di Francia a Roma, Fabrice Maiolino e il presidente della Federazione Ciclistica Italiana Renato di Rocco.

Non sveleremo troppo della trama, perché vogliamo lasciare ai lettori il piacere della scoperta. Ma possiamo dire che questo romanzo nasce da un evento reale, uno di quei momenti che restano sospesi nel tempo e nel cuore: l’ultimo concerto di Charles Aznavour in Giappone.
Era il 19 settembre 2018. Un palco, le luci soffuse, il pubblico in attesa. Aznavour, nonostante l’età avanzata e la malattia che lo affliggeva (aveva ben 94 anni), era lì, in piedi davanti ai suoi spettatori, con quella voce che sapeva scavare nell’anima. Fino all’ultimo respiro ha voluto offrire il suo talento, la sua musica, la sua vita. Nessuno poteva immaginare che, dieci giorni dopo, quel sipario si sarebbe chiuso per sempre.
Il romanzo racconta questa storia intrecciandola con le vite di tre personaggi, legati a doppio filo al grande artista. Tre di loro sono suoi fan, uomini molto diversi tra loro, ma uniti dalla stessa passione, dalla stessa emozione che li ha portati a Osaka per assistere a quello che sarebbe stato un ultimo, inconsapevole addio.
C’è Thomas, un giovane francese che sembra appartenere a un’altra epoca, insofferente alla modernità, alla fretta del mondo, che decide di attraversare mezzo pianeta per vivere quel concerto come un pellegrinaggio. Per lui, Aznavour è più di un cantante: è la voce di una Parigi che non ha mai vissuto, ma che sogna ogni giorno.
C’è Ivo, un croato emigrato in America, che rivede in Aznavour la propria storia. Anche il grande cantante era figlio di emigrati armeni, cresciuto tra sacrifici e speranze, esattamente come lui. La sua voce gli ha fatto compagnia nei momenti di nostalgia, gli ha ricordato che le radici non si spezzano mai del tutto.
E poi c’è Yoshizo, un ricco giapponese, uomo di cultura e raffinatezza, che ha dedicato la sua vita alla famiglia e alla passione per Aznavour. Per lui, quella musica è stata un rifugio, un ponte tra Oriente e Occidente, un’eco di sentimenti che vanno oltre le parole.
In un certo senso, ognuno di loro incarna un frammento della personalità di Aznavour: la nostalgia, la determinazione, la delicatezza.
E poi c’è lui, Charles. La sua storia attraversa il romanzo come una melodia che si insinua nelle vite degli altri personaggi. Ogni capitolo è una finestra su di lui, sui suoi pensieri, sui ricordi che lo hanno accompagnato fino a quell’ultima notte di musica.

Ma c’è anche un simbolo potente che lega tutto il racconto: il fazzoletto bianco che Aznavour lanciava al pubblico alla fine di ogni concerto. Un gesto semplice, eppure carico di significato. Quel fazzoletto era un ponte invisibile tra lui e chi lo ascoltava, un addio che sapeva di arrivederci, un ultimo soffio d’arte che si librava nell’aria, come una nota sospesa.
Ed è proprio quel fazzoletto a legare le vite di Thomas, Ivo e Yoshizo, tre uomini che, senza conoscersi, si trovano nello stesso luogo, nello stesso istante, uniti dalla magia di quella notte. Per loro, il concerto non è solo un evento musicale, ma un momento di rivelazione, un frammento di vita che cambierà per sempre il loro sguardo sul mondo.
Il romanzo si svolge nell’arco di una sola giornata, eppure abbraccia un’intera esistenza. Attraverso flashback e ricordi, ripercorre la vita di Aznavour, le sue battaglie, i suoi successi e i momenti di solitudine che solo gli artisti conoscono davvero. Ma racconta anche le vite di coloro che hanno trovato in lui una guida, un conforto, una scintilla di bellezza capace di illuminare anche le notti più buie.
Il titolo del libro, L’ultimo fazzoletto di Charles Aznavour, è un omaggio a quel gesto, a quel simbolo che racchiude tutto: la dedizione di un uomo alla sua arte, l’amore per il suo pubblico, il senso profondo di un’esistenza vissuta sul palco.
Ecco perché la copertina del libro immortala quel momento: la mano di un fan che cerca di afferrare il fazzoletto lanciato da Aznavour, come se volesse trattenere un’ultima nota, un ultimo istante di eternità.
Non è solo la storia di un concerto. È la storia di un legame che va oltre la vita, oltre la distanza, oltre il tempo. Perché la musica, quella vera, non si spegne mai davvero.
Era un uomo solitario, eppure così vicino a tutti. Si alzava all'alba, prima ancora che il sole accarezzasse l'orizzonte, e partiva da solo, con la determinazione silenziosa di chi non si arrende mai. A 94 anni, la sua energia non si spegneva: era sempre il primo a svegliarsi, il primo a muoversi, il primo a sfidare il tempo, come se ogni nuovo giorno fosse un'opportunità da non sprecare.
Nonostante l'età avanzata, non pensava mai alla fine. Il suo sguardo era rivolto al futuro, a quel concerto dei cent'anni che aveva già immaginato e quasi interamente scritto. Eppure, nei momenti di quiete, tra un respiro e l'altro, si lasciava sfiorare dal pensiero della fragilità dell’esistenza. Sapeva che la morte era vicina, ma non per questo si lasciava intimorire. Aveva persino fatto una scommessa con sua sorella: entrambi sarebbero arrivati a cento anni. Lei ci è riuscita, ha superato i cento, ma lui no. Eppure, nonostante tutto, ha vissuto come se l’eternità fosse nelle sue mani.
Sul palco era un'altra persona. L'artista, anche quando è stremato, quando il corpo tradisce la stanchezza degli anni, trova sempre la forza di rinascere sotto i riflettori. La magia della musica lo rianimava, lo trasformava, lo rendeva immortale. Ma c’era un prima e un dopo. Prima di salire sul palco, c’era la solitudine, l’attesa, il peso del tempo. Dopo, la consapevolezza di aver regalato al mondo un altro frammento di sé.
Aveva un rapporto speciale con l'Italia. Amava questo paese e il suo pubblico lo adorava. Cantava in italiano, come in tante altre lingue, perché per lui la musica era un ponte tra le culture, un linguaggio universale. Eppure, era un perfezionista assoluto: le traduzioni delle sue canzoni dovevano essere impeccabili. Quando gli proposero di cantare in giapponese, rifiutò.
«Non posso esibirmi in una lingua che non comprendo pienamente» diceva, perché per lui ogni parola aveva un peso, un significato preciso che non poteva essere tradito.
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La sua voce ha ispirato tante vite, tra cui quella di una donna che, lottando contro una malattia, si è aggrappata alla sua musica per trovare la forza di vivere. Quando sentì per la prima volta una sua canzone, non conosceva la sua fama. Semplicemente, quelle parole risuonavano dentro di lei, le parlavano di vita, di ricordi, di speranza. Era in un momento buio, il corpo piegato dalla malattia, eppure, grazie a lui, trovò la luce.
Decise che doveva incontrarlo. E il destino volle che, proprio nel giorno dell’ultima seduta di chemioterapia, lui fosse a Madrid per un concerto. Nonostante la debolezza, trovò la forza di esserci. E quando gli scrisse una lettera per raccontargli la sua storia, lui volle conoscerla. Da quel momento, la sua vita cambiò. Divenne parte della sua storia, testimone di ogni concerto, spettatrice privilegiata di quell’arte che non conosce confini. E lei era l'autrice Pascale Lora Schyns, che come per miracolo è stata guarita da questo artista la cui fama è giunta in ogni piccolo paese del mondo.
Era un uomo che sapeva trasformare il tempo in musica, la vita in poesia. E anche se non è arrivato ai cento anni, la sua voce continua a vivere, sospesa tra le note, immortale come il suo sogno.
Per poterlo raccontare la ricerca dell'autrice è iniziata con un viaggio in Giappone, una terra che già le aveva rubato il cuore. Era lì, tra le luci soffuse e i colori vibranti, che aveva incontrato i suoi personaggi, ma sentiva che mancava qualcosa. Così, tornò in Giappone, un po’ come se le strade la chiamassero, e in quel luogo, dove tutto sembrava sospeso tra presente e passato, trovò la chiave che cercava. Il ritorno non fu mai un semplice ritorno; era come se la sua storia si stesse scrivendo tra le pieghe del tempo, tra i luoghi che aveva visitato e quelli che ancora non conosceva. L'ultimo viaggio, in un albergo che per lei era diventato simbolo di una nuova epoca, le aprì le porte di un romanzo che stava prendendo forma.
Non era mai stata una biografa, non aveva mai pensato di esserlo, ma ogni incontro, ogni gesto, ogni sguardo rubato dietro le quinte, si trasformava in racconto, in poesia. Le storie dei suoi personaggi non erano solo storie di fama, ma storie di vite vissute, di radici che affondavano in terreni lontani, di amori e perdite, di famiglie che avevano visto il mondo cambiare.
E così, i tre personaggi si intrecciarono in un filo invisibile, un legame che andava al di là delle apparenze e c’era il loro legame con Aznavour, l’artista che aveva fatto della sua musica un respiro universale.
Era una storia di energia, quella che aveva condiviso con loro. Non solo quella che scaturiva dalla musica, ma quella che nasceva dal cuore, che attraversava il palco e arrivava dritta al pubblico. Ogni concerto era un incontro, una rivelazione, una sfida a entrare nel cuore dell'altro. E quando il palcoscenico si spegneva, restavano le parole, i gesti, le emozioni.
Aznavour era un uomo che conosceva il valore delle storie. Ogni canzone per lui era una narrazione, ogni nota un capitolo di un libro che non finiva mai.
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Con il tempo, si rese conto che il viaggio non era mai stato solo fisico, ma spirituale. Le radici armene, la famiglia di Aznavour, la sua storia personale, erano la colonna sonora di un'esistenza che non conosceva confini. La sua passione per l’arte era cresciuta, sì, ma non come un semplice spettatore: si era trasformata in un racconto da vivere, da sentire. Non c’era più separazione tra il palco e la vita, tra l'artista e l'uomo.
La sua avventura non era la cronaca di un viaggio fatto di eventi, ma il respiro di un'epoca che si trasformava sotto i suoi occhi. Ogni giorno che trascorreva con Aznavour, ogni parola scambiata, ogni concerto seguito, le facevano capire quanto fosse importante non solo ciò che avevano vissuto, ma ciò che avrebbero lasciato. Il suo racconto era diventato il romanzo di una vita che aveva attraversato la musica, l’amore, il dolore, e la luce.
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