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Immagine del redattorePatrizia Boi

Archeologia - E se la stirpe umana fosse nata in Sardegna?

Sardegna – Nuraghe Piscu (Suelli) – Ph Patrizia Boi


Patrizia Boi (Assadakah News) - Una suggestiva teoria dello studioso siciliano Salvatore Gullotta Di Mauro, prefetto e Grand'Ufficiale della Repubblica, che dal 1966 vive in Sardegna dedicandosi alla storia istituzionale, al diritto arcaico e alla speciale preistoria dell’Isola, è quella che emerge dal suo ultimo saggio “L'isola degli dèi e di uomini fortunati”, pubblicato nel 2021 con Carlo Delfino Editore, la casa Editrice storica che dal 1931 si occupa di libri, cultura e archeologia della Sardegna.

 

Ma in che cosa consiste questa teoria?

 

Secondo gli antichi scritti dei sumeri, più che di una teoria, come afferma lo stesso Gullotta «sembra avere tutti i connotati di una verità rimasta dietro le quinte della storia per oblio o per deliberata volontà o anche per colpevole determinazione di mettere in un angolo del sapere quanto fattoci pervenire da uomini antichi, che si son presa la briga di scriverla la verità sulle pietre e sulle tavolette d'argilla con l'unico scopo lodevole di farla conoscere ai posteri».

 

Di quali tavolette parla il nostro Autore?

 

Delle tavolette sumere, Enuma Elish, le cosiddette Sette Tavole della Creazione – conservate ad Ashur, Kish, nella biblioteca di Assurbanipal a Ninive - che raccontano il Mito della Creazione del grande dio Marduk vincitore sulle forze del caos.


Enuma Elish


L’esame dettagliato di queste antiche scritture cuneiformi ci spiega la nostra origine.

 

Perché questo popolo avanzato, prosegue ancora Gullotta, «nella conoscenza scientifica e di alta civiltà, ha voluto comunicare ai posteri le proprie conoscenze, in particolare la convivenza con quegli uomini in carne ed ossa da loro chiamati “dèi” per via delle loro straordinarie capacità tecnologiche e scientifiche…».

 

È utile spiegare più dettagliatamente il contenuto del lascito di questi uomini antichi sempre con le parole del nostro Autore:

 

«La narrazione che i Sumeri hanno impresso sulle tavolette d'argilla ben 4.000-3.000 anni a.C.  mette in evidenza che sulla Terra, in tempi lontani (300.000-150.000 anni fa), fosse presente una molteplicità di individui in carne ed ossa, uomini o simil-uomini dalle capacità scientifiche e tecnologiche eccezionali, tanto da chiamarli “dèi”. Entità, queste, da tenere distinte da quell’Entità soprannaturale, il Dio con la lettera maiuscola, con tutte le questioni riguardanti la creazione dell’Universo e il suo rapporto con le varie forme di vita esistenti, sulle quali, al momento, ben poco o nulla si può dire. Che si tratti di una verità precisa è dimostrato anche dal fatto che persino gli antichi compilatori dell'Antico Testamento, che dedicarono la Bibbia a un unico Dio, (Enlil), attribuendogli le opere buone ed apprezzate di Enki, ritennero necessario ammettere la presenza sulla Terra, in tempi antichissimi, di tali diverse entità. Tale affermazione si trova, infatti, nella Genesi, nella parte dell'inizio del sesto capitolo, che ha fatto inorridire traduttori e teologi di ogni tempo. In questo brano si afferma che a quel tempo “I figli degli dèi videro le figlie dell'uomo e le trovarono belle” (cioè compatibili); “e presero per mogli quelle che piacquero loro più di tutte”».


Secondo i Sumeri, infatti, questi “dèi”, venivano dal cielo e si trovavano sul nostro pianeta ancor prima che l’uomo esistesse.

 

La notizia rivoluzionaria è che furono proprio questi “dèi” a creare l’essere umano, attraverso La manipolazione genetica del Dna di un ominide. Lo afferma in verità anche la Bibbia.

 

«Inoltre, essi illustravano questo complesso di dèi come legati tra di loro da una sorta di stretta gerarchia, sotto il dominio di una dinastia, una sorta di famiglia divina strettamente legata, ma anche aspramente divisa. Una corte dominante composta da dodici “grandi Dèi” posti al vertice del gruppo. A dominare sugli altri, figurano tre grandi dèi: Anu, Enlil, Enki. In tutta la narrazione un dato risulta evidente: l'organizzazione di questi dèi si rivela con la struttura vera e propria di un immenso impero che si estendeva nei cieli e comprendeva la Terra con leggi e regole tassative imposte a tutti gli dèi a prescindere dalla posizione gerarchica di ognuno di loro, soprattutto in materia di successioni e di rapporti interpersonali.  Anu, che nella mitologia greca è il dio Crono, è il capo della dinastia, il grande padre degli dèi e il loro imperatore», prosegue il Gullotta.

 

Il nostro studioso non si limita a fare le affermazioni suddette ma descrive anche delle specie di visite di Stato di Anu sulla Terra dove veniva accompagnato dalla sua sposa e ci parla dei rituali cerimoniali: «E cioè la colazione mattutina, i pasti serali e il ritiro dopo il pasto; il cerimoniale della partenza e le formule di commiato, le strette di mano (“si afferrano le mani”) con gli altri dèi. Al momento della partenza, i Grandi Dèi venivano condotti al luogo della partenza (“alla nave di Anu”) su portantine simili a un trono, portate a spalla da funzionari del tempio».

 

Ma chi sono le altre due importanti divinità oltre ad Anu?

 

«L'altra importante divinità, la seconda più potente, era Enlil, il prototipo e il progenitore dei successivi dèi che sarebbero stati al vertice degli altri pantheon del mondo antico e figlio maggiore di Anu. Egli appare come il capo interessato alle vicende militari e al dominio dei territori. Enlil è il dio della Bibbia che a lui fa convergere le azioni, anche le più nobili e favorevoli al genere umano del fratello Enki, nel proposito di affermare il monoteismo. I Sumeri adoravano Enlil mossi sia dalla gratitudine, sia dalla paura.  Egli pretendeva assoluta ubbidienza ed era suo il “vento” che soffiava impetuoso cancellando le città che si erano rese colpevoli. Fu proprio lui che, al tempo del Diluvio, cercò di distruggere la stirpe umana», afferma Gullotta.

 

Insomma, il dio Enlil non ha molta simpatia per il genere umano, ma c’è anche suo fratello Enki, che Gullotta descrive così:

 

«Il terzo dio della ristretta cerchia di dèi ha il nome di Enki. Era la divinità della sapienza, dei mestieri, della saggezza e della creazione dell'uomo, il corrispondente del dio Poseidone col quale i greci chiamavano il dio del mare e delle acque».

 

E allora chiediamoci, cosa c’entra la Sardegna in tutto questo?


Sembra un'astronave questa Domus De Jana che si trova nella Necropoli Genna Salixia a Villa Sant’Antonio – Ph Patrizia Boi


Rispode l'Autore: «Le antiche genti di Sardegna riconoscono Forco, Phorcus, che altri non è che la corrispondente meglio nota divinità marina di Poseidone dei Greci, che, a sua volta, altri non è che Enki dei Sumeri, l'originario dio dell'Oceano e delle isole del Mar Tirreno, re di Corsica e di Sardegna, padre di tante divinità legate al mare. In Sardegna alcuni nuraghi e molte località sacre portano ancora il suo nome demonizzato in “Orco” (Sa Dom'e s'Orcu di Sarroch, Nuraghe s'Orcu, etc.)».

 

C’è da chiedersi, inoltre, com’è possibile spiegare che «circa 300.000 anni fa, in un lento processo evolutivo che richiede naturalmente decine di milioni di anni, l’uomo sia passato dalla sera alla mattina dalla condizione di ominide che ha appena imparato a camminare a quella di uomo pensante (homo sapiens e successivamente homo sapiens sapiens), la condizione nostra…».

 

Questo quesito ci conduce a ritenere che ci sia un problema noto con l’espressione di “anello mancante”.

 

Non è facile, infatti, sapere in maniera certa quando sia apparso il primo uomo sulla Terra.

Eppure, i Sumeri, lo sapevano bene e 6.000-5.000 anni fa l’hanno trasmesso ai posteri con grande precisione e certezza.

 

Infatti, come spiega ancora Gullotta: «Essi affermano che i loro dèi, come dire quegli uomini che erano presenti sulla Terra quando ancora non c'era l'uomo (300.000- 150.000 anni a.C.), provenivano da un'isola. Un'isola che sarebbe stata il luogo della loro prima dimora.

Di un’isola misteriosa posta nel Mare Occidentale o Mare Superiore, che per gli antichi era il Mare Mediterraneo, prima degli uomini di cultura che hanno fatto grande la Grecia, nelle bettole dei porti del Mediterraneo parlavano i marinai micenei e greci. Ne parlavano precisando che si trattava di un’isola sconosciuta posta al tramonto del sole in un mare sconosciuto. Ne parlarono poi tutti gli acculturati che hanno fatto grande la Grecia, dandole nomi diversi (Atlantide, Scheria, ecc.). Ne parlarono pure gli Egizi con i geroglifici incisi sui muri dei loro templi. Tutti si riferivano, parlandone, alla stessa isola, l’isola degli dèi».


Giganti di Monte Prama – Ph cogitosergiosum

 

Sappiamo anche che Platone chiamava quest’isola Atlantide secondo quanto gli era stato trasmesso dai sacerdoti egizi e che la collocava oltre le colonne d’Eracle. Ma a quei tempi quel limite estremo del mondo conosciuto non era situato ancora nello stretto di Gibilterra, bensì tra la Sicilia e la Tunisia o nello stretto di Messina.

 

Come afferma il nostro Autore «Atlantide e Tartesso sono la stessa località, cioè la stessa isola, l’isola degli dèi. Anche di Tartesso si parlava molto nell’antichità, e sempre come isola. Non per caso in Sardegna, e non in altre località, si sono rivenuti diversi reperti: la stele di Nora; il Coccio di Orani e l’inserzione dell’Altare di Zeddiani».


Dente di Gigante - Paulis Arbarei - Ph Luigi Muscas


In realtà il libro si sofferma a lungo sugli indizi che indicano la Sardegna come l’Isola dei dèi, tra i numerosi toponimi di dèi e di divinità diffusi su tutta l’Isola che richiamano i miti e le divinità dell’antichità, il fatto che la scienza riconosca il sardo come uomo molto antico, «In particolare gli studi di Mario Anges mettono in evidenza che l’evoluzione della fauna e i reperti litici indicano che la prima presenza umana in Sardegna risale a circa 300.000 anni a.C..  E c’è anche la scoperta nel 1915 dell’archeologo Antonio Tamarelli, coadiuvato da Edoardo Benetti, di esemplari dalle dimensioni straordinarie che richiamano le tombe dei giganti esistenti in Sardegna in numero notevole e chissà a quali epoche risalenti», ci racconta l'Autore.

 

Ma poi e soprattutto cosa caratterizza la Sardegna rispetto a tutte le altre isole del Mediterraneo?

 

«In Sardegna ci sono Nuraghi, Menhir, Domus De Janas, Tmbe dei Giganti, Pozzi sacri... Insomma, un notevole numero di siti archeologici e di monumenti (in tutto ben 15 mila) che, dislocati su tutto il territorio, lo contraddistinguono per una evidente unicità, facendo dell’intera isola un vero museo a cielo aperto che richiama un passato veramente remoto».


Menhir di Curru Tundu (quasi 6 metri) - Villa Sant’Antonio – Ph Patrizia Boi

 

E poi ci sono una infinità di elementi simbolici che si tramandano tradizionalmente di generazione in generazione attraverso una ripetizione per lo più inconscia, come decorazioni di cassapanche, tappeti, ceramiche, costumi tradizionali, pani, dolci, oreficeria, etc., che avevano la funzione di appagare il gusto estetico piuttosto che la fame, come ancora afferma il Gullotta Di Mauro:


«Il simbolo più ricorrente è la spirale, presente anche sulle statue – menhir e all’interno delle domus de Janas, tradizionalmente legata al concetto della procreazione, cioè al concetto di nascita e di rinascita ricorrente sin dagli albori delle civiltà. Altro significativo simbolo ricorrente è il triangolo che simboleggia la magia del numero tre, il suo scindersi e ricomporsi nella divinità. Nella simbologia cristiana il triangolo posto sulla testa di Dio rappresenta la bellezza, l’ordine, l’armonia. La figura del triangolo si confonde con la figura del grembo della Dea Donatrice della vita e con la V da essa derivata, e rappresenta quindi il più antico e conosciuto simbolo proveniente dal Paleolitico incarnato nelle numerose statuine rinvenute in grotte e sepolcri del Paleolitico e del Neolitico, tra i quali i più antichi quelli a triangolo in selce con abbozzati i seni e la forma del grembo della Dea Madre. Forma triangolare hanno anche i pozzi sacri. Si tratta insomma di un simbolo del “femminile”».


Particolare Nuraghe Piscu, Suelli Menhir Piscina 'e Sali, Laconi Ingresso Pozzo Santa Cristina - Paulilatino

 

Sono simboli di una sorta di età dell’oro che vengono ripetuti addirittura nell’attività tradizionale dolciaria, come fossero «creazioni artistiche, vengono dal passato remoto a rivelare i moti dell’anima della donna sarda e i sogni del passato rimasto nella sua memoria, un passato felice in cui si era liberi dal bisogno impellente della sopravvivenza e dell’esistenza, proprio in quest’isola di Sardegna, di un’età d’oro nelle profondità della sua storia», afferma il Gullotta.


Quartu - Dolci Sardi decorati a mano nel laboratorio artistico delle sorelle Piccioni Maria (96 anni) e Nuccia (90 anni) – Ph di Patrizia Boi


Nell’isola il Dio Enki avrebbe quindi creato il primo uomo per ibridazione ed era un tempo in cui l’Isola viveva in pace, dove gli uomini si consideravano fratelli, il benessere era diffuso e condiviso in armonia. E come conclude Salvatore Gullotta Di Mauro:

 

«Il tempo di una civiltà edificata proprio su quest’isola di Sardegna posta nel “bell’Occidente”, “al tramonto del sole”, “in mezzo ai flutti profondi”. In un’isola che per ciò, solo essa tra le tante isole del Mediterraneo, venne chiamata “isola dei Beati”, “isola origine degli dèi”, “isola dimora di dèi e di uomini fortunati”, “isola sacra” proprio perché riservata agli dèi e, in particolare, alla stirpe originata da quel grande dio  - Enki/Poseidone/Nettuno, etc. - padre/antenato, creatore dell’uomo e della stirpe di uomini fortunati da lui originata, nonché creatore della prima civiltà in assoluto sulla Terra,  progenitrice di tutte le altre succedutesi nel tempo».




 

 

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