Roberto Roggero - Nella generale stasi diplomatica per la crisi ucraina, c’è chi decide di dare uno scossone alla situazione, con una scossa che ha coinvolto la Turchia di Erdogan, ovvero l’Arabia Saudita del principe Mohammed bin Salman.
L’anno scorso, Riyadh ha mediato con successo uno scambio di prigionieri russi e ucraini, e sta aiutando Kiev a cercare sostegno presso alcuni Paesi, organizzando una conferenza a Jeddah. Oltre a funzionari ucraini e di alcuni alleati (USA, Regno Unito, Polonia e Unione Europea/Nato) il governo saudita ha invitato i rappresentanti di trenta nazioni rivolgendosi soprattutto ai membri del G20, compresi India, Brasile, Sudafrica e Cina. Tra gli invitati anche paesi come Cile, Egitto, Indonesia, Messico, Zambia.
La situazione è estremamente delicata, per le implicazioni globali che ben si conoscono da diversi punti di vista, e bisogna discernere e riconoscere le reciproche responsabilità, da parte di tutte le parti in causa. Sul tavolo di un’eventuale conferenza per la pace, che il presidente ucraino Volodymir Zelensky vuole organizzare entro la fine dell’anno, la proposta per risolvere la crisi, articolata in dieci punti, fra i quali in cui si chiede il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina; rilascio dei prigionieri di guerra e delle persone deportate in Russia; garanzie per la sicurezza delle forniture alimentari ed energetiche, e per il ripristino della sicurezza intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia; un tribunale per individuare e condannare i responsabili dei crimini di guerra. A settembre Zelensky dovrebbe anche recarsi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per presentare ufficialmente la “sua” iniziativa per la pace. Finora i paesi in via di sviluppo e le medie potenze hanno cercato la neutralità, auspicando una soluzione pacifica al conflitto ma senza condannare del tutto la Russia, e non aderendo completamente alle sanzioni occidentali.
L’Arabia Saudita ha mantenuto i legami con la Russia, partner fondamentale per il mercato petrolifero globale attraverso i Paesi produttori. Allo stesso tempo però si sta affermando nel ruolo di mediatore. Mohammed Bin Salman ha ospitato Zelensky al vertice arabo, e il governo saudita ha promesso 400 milioni di dollari a esclusivo sostegno umanitario.
Dopo un anno e mezzo, questa la guerra sta diventando insostenibile per tutti, non solo per i Paesi più fragili ma anche per le medie potenze, solo apparentemente fuori dai giochi, e in grado di approfittare delle opportunità offerte dalla guerra, ma chiamate anche a subirne le conseguenze.
L’Arabia Saudita deve affrontare, e ne ha senza dubbio le possibilità, lo sconvolgimento del mercato globale del petrolio, e la nuova geografia delle esportazioni, tenendo insieme alla Turchia, e ai partner del mondo arabo il fronte per rispondere ai i rischi di una crisi alimentare in Nordafrica e Medio Oriente.
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