Assadakah Roma News - Sulla costa nordoccidentale dell’Arabia Saudita si lavora per costruire un impianto per la produzione di idrogeno che costa svariati miliardi. Il principale esportatore di petrolio del mondo sta cercando di trasformarsi nel primo produttore di questa fonte di energia pulita. Se dovesse rispettare l’obiettivo di produrre 650 tonnellate al giorno di idrogeno “verde” senza impatto sull’ambiente, diventerà l’impianto più grande del mondo.
Nella città di Neom, sulla costa del mar Rosso, la costruzione su larga scala non è ancora partita. Un funzionario locale ha dichiarato che i lavori dovrebbero cominciare nel 2026. Il piano per la produzione di idrogeno fa parte del progetto di diversificare un’economia dipendente dal gas e dal petrolio e creare nuovi posti di lavoro.
Nel 2021 il 60% del budget saudita derivava dal petrolio (149 miliardi di dollari) e ora è chiaro che il Paese ha bisogno di trovare altre fonti di reddito in un mondo che in futuro farà sempre meno affidamento sui combustibili fossili. “Puntiamo molto sull’idrogeno e vogliamo conquistare questo mercato. Saremo il produttore più competitivo”, ha dichiarato il principe Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia, durante una conferenza all’inizio di febbraio.
Diversamente dal petrolio, il cosiddetto idrogeno “verde” – l’opzione meno dannosa per l’atmosfera che comprende l’uso di acqua ed energia rinnovabile – può essere prodotto dovunque. Se il mercato dovesse decollare come previsto (600 miliardi di dollari entro il 2050), la concorrenza sarà feroce.
Per decenni l’idrogeno è stato considerato un’alternativa ai combustibili fossili e, secondo le ultime ricerche dell’International renewable energy agency, potrebbe soddisfare fino al 12% delle necessità energetiche mondiali entro il 2050.
Questa risorsa può essere usata per alimentare le automobili, per la produzione industriale e perfino per riscaldare e illuminare le case. Quella dell’idrogeno è sicuramente la strada che le aziende petrolifere vogliono intraprendere nei loro percorsi di decarbonizzazione, e l’idea che l’Arabia Saudita si muova in questa direzione è perfettamente sensata.
L’idrogeno verde, prodotto attraverso l’elettrolisi dell’acqua, è il combustibile meno dannoso per l’ambiente perché deriva da energie rinnovabili. Sulle coste nordoccidentali dell’Arabia Saudita ci sono luce solare e vento in abbondanza tutto l’anno per alimentare i pannelli solari e le pale eoliche. L’idrogeno blu, invece, è ricavato separando le molecole da un carburante fossile come il gas metano e richiede poi un processo di cattura della CO2 emessa. L’Arabia Saudita scommetterà sia sull’idrogeno verde sia su quello blu.
Dietro le iniziative c’è il Public Investment Fund, fondo sovrano da 500 miliardi di dollari di cui è presidente il principe ereditario Mohammed bin Salman. Oltre all’impianto di Neom, a gennaio il fondo ha firmato un memorandum con due aziende sudcoreane – la Samsung e la Posco – per lo studio di un progetto destinato alle esportazioni di idrogeno. Neom dovrebbe ospitare anche un impianto per la costruzione di automobili alimentate a idrogeno. Il capo del progetto di Neom, Roland Kaeppner, sottolinea che l’iniziativa saudita arriva al momento giusto in un mondo alla ricerca di nuovi modi per allontanarsi dai combustibili fossili. L’Arabia Saudita può contare su eccellenti risorse solari ed eoliche, su terreni disponibili e su collegamenti rapidi con l’Europa per l’esportazione, quindi i presupposti sono incoraggianti.
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