Assadakah News Agency - L'80% della forza lavoro del Mali è impegnata in agricoltura, allevamento e pesca, di cui l'80% è a sua volta composta da donne. Includerle nei processi decisionali significa quindi, secondo M'bo, "trovare risposte al clima che cambia, di cui le donne sono le prime a soffrire gli effetti".
Il Mali è parte della regione del Sahel e con Burkina Faso, Niger, Mauritania e Senegal, condivide alcune caratteristiche: "Tanto sole e grandi spazi, notevoli risorse idriche e minerarie - come petrolio, oro, uranio o litio - una popolazione estremamente giovane",
sottolinea l'economista Keita Mariam Touré, membro della Coalizione maliana per il genere, la sicurezza e il cambiamento climatico. L'esperta evidenzia anche tratti negativi: "Questi Paesi non godono dei proventi delle riserve naturali e pagano il costo dei cambiamenti climatici. In Senegal a esempio in alcune zone bisogna scavare oltre i 50 metri per creare un pozzo, perché le falde si stanno prosciugando".
La chiave per un futuro prospero per Touré diventa allora "trasformare i rifiuti in gas o elettricità", un processo "già in atto in alcuni Paesi del Sahel, che non solo contiene l'innalzamento delle temperature ma, tramite i siti per la produzione di energia, consente di proteggere e rigenerare foreste e biodiversità, contendendo la desertificazione. Dobbiamo creare valore aggiunto partendo da quello che abbiamo".
Un suggerimento che raccoglie Joy Zenz, che nel 2008 ha fondato la piattaforma African Women in Europe (AWE): una realtà che oggi mette in contatto seimila imprenditrici di origini africane in Europa e nel resto del mondo con imprese e investitori. "Sostenere le donne significa sostenere lo sviluppo della comunità" dice Zenz, nata in Kenya e oggi residente in Germania. "Awe è presente in 20 Paesi e lavoriamo con le donne soprattutto in ambito digitale, perché è importante che siano connesse e quindi raggiungibili". Ciò permette loro di "entrare nel commercio e in particolare nel settore manifatturiero".
A livello globale, continua la dirigente, i dati rivelano che il 20% delle imprese è a guida femminile, mentre "una ricerca ha rivelato che metà delle donne africane intervistate vuole avviare un'impresa nei prossimi tre anni. Se si sfruttasse questa volontà, si supererebbe la quota delle europee. Dobbiamo agire da ponte tra i due continenti e investire nel mercato africano d nelle comunità straniere, superando ostacoli come la corruzione". La piattaforma ha già "mobilitato oltre 4mila imprenditrici nell'ambito dell'Area di libero scambio africana (Afcfta) e accordato 20 grant per l'avvio di attività imprenditoriali".
A invocare ponti "fisici e di relazioni" tra l'Africa e l'Europa è Fabrizio Lobasso, vicedirettore per l'Africa sub-sahariana presso il ministero degli Affari Esteri: "Servono politiche centrate sull'essere umano", il suo appello, "e iniziative come questa- conferma il dirigente- vanno nella direzione di quell'Italia che, come le attività della Farnesina dimostrano, vuole esserci".
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