Roberto Roggero – La situazione umanitaria in Afghanistan sta precipitando giorno dopo giorno, e anche le dotazioni e le scorte fornite dal World Food Programme dell’ONU sono ormai agli sgoccioli. Secondo i calcoli sono necessari almeno 200 milioni di dollari per aiutare gli oltre 35 milioni di persone rimaste letteralmente intrappolate nel Paese, nuovamente nella morsa dei Talebani.
La situazione è estremamente tragica, mentre stanno procedendo le operazioni di evacuazione, che ancora attirano l’attenzione della comunità internazionale, prima che l’Afghanistan venga chiuso all’interno di una cortina impenetrabile. I profughi, dall’inizio del 2021, hanno superato il mezzo milione, ma il problema è per chi rimane, e che magari non si rassegnerà e tenterà di fuggire, per scampare alla repressione del governo talebano, dalla povertà e dalla pazzia.
Economicamente, l’Afghanistan è allo sfascio totale, il bilancio del governo afghano è finanziato dal per il 75% da donatori internazionali, inclusa l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), ma è ben chiaro che i Talebani non hanno certo intenzione di accettare soldi dal “Grande Satana”, inoltre, dopo la presa del potere da parte dei Talebani, quasi tutte le agenzie e le istituzioni internazionali hanno sospeso i loro finanziamenti.
Addirittura la Banca Mondiale ha sospeso ogni concessione, motivando la decisione con la “forte preoccupazione” per la situazione delle donne. Ora i circa venti progetti di sviluppo in corso nel Paese, con un sostegno economico di oltre 5 miliardi di dollari dal 2002, sono fermi. Il Fondo Monetario Internazionale ha fatto lo stesso qualche giorno prima, e ora oltre 10 miliardi di dollari sono congelati.
I Talebani, da parte loro, si trovano di fronte a un problema enorme e immediato, perché le esportazioni di sostanze illecite non sarà sufficiente a coprire le necessità reali, e non si sa come si potrà evitare la completa catastrofe umanitaria, a cominciare dallo spettro della carestia, con tutte le conseguenze.
I Talebani avranno comunque bisogno di sostanziali finanziamenti esterni, a meno che non si riducano a ciò che hanno fatto dal 1996 al 2001, portare il governo alla minima sopravvivenza, perché vivere del traffico di stupefacenti non ha fornito loro un percorso per rimanere al potere.
Secondo diversi analisti, la ritirata economica della comunità internazionale, e in particolare dell’Occidente, rischia di degenerare in una crisi ancora più grande.
Nel futuro dell’Afghanistan chi promette di avere un ruolo da protagonista è soprattutto la Cina. Pechino riesce a dialogare con i Talebani, e potrebbe svolgere un ruolo costruttivo per la pace e la ricostruzione del Paese, ma al di là dei possibili investimenti cinesi in Afghanistan, ma prima di tutto questo, il presente impone una soluzione al dramma umanitario, e a pagare il prezzo più alto saranno ancora una volta le donne e i bambini (il 60% degli sfollati di quest’anno).
L’accesso all’istruzione non è l’unica incognita che grava sul futuro delle bambine e delle donne afghane. Il ritorno al potere dei Talebani minaccia i diritti di proprietà sulla terra faticosamente conquistati dalle donne afghane, che ora rischiano di perdere tutto, per l’imposizione della rigida legge islamica, che nega in gran parte i diritti di proprietà alle donne. La situazione era cambiata negli ultimi anni, con la concessione di titoli di proprietà a vedove, divorziate e famiglie guidate da donne. Il timore è che possano perdere tutto, ancora una volta, scivolando nell’indigenza più nera. L’eredità del grande ritiro occidentale dall’Afghanistan è fatta anche di questo.
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