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Afghanistan – Kabul come Saigon, e l’Occidente resta a guardare…


Roberto Roggero - Oggi, dopo la morte di Gino Strada, in molti dovrebbero semplicemente chiedergli scusa.

Al ricordo ancora vivo della cocente sconfitta americana in Vietnam, oggi si affianca l’altrettanto bruciante disavventura della più lunga guerra a cui gli Stati Uniti abbiano preso parte, dopo averla causata e subita, con costi difficilmente immaginabili per i contribuenti: l’Afghnistan, dove la riscossa dei Talebani sembra essere inarrestabile. Una rovinosa caduta per il prestigio a stelle e strisce, nonché per l’attuale amministrazione Biden, e una ennesima dimostrazione (se mai fosse stata necessaria) che la storia, per la sua stessa natura, insegnerebbe anche, ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. L’Afghanistan, però ha insita una profonda differenza rispetto al Vietnam: non è mai stato invaso da nessun Paese. Tutti i tentativi, nel corso della storia, sono stati rovinosamente respinti, compreso quello del colosso sovietico, che è tornato entro i propri confini a leccarsi le ferite.

Era l'aprile del 1975, e le immagini di centinaia di americani che fuggono sugli elicotteri dal tetto dell'ambasciata restano indelebili. Ora lo spettro che la storia si ripeta è reale, con Joe Biden accusato di aver combinato un vero e proprio casino. Grazie alla decisione di fare rientrare l’intero contingente, si è passati in poche settimane da una situazione imperfetta ma stabile a un caos e un'emergenza globale. Non poteva esimersi da commenti l’ex presidente Donald Trump, che di casini se ne intende davvero in modo particolare: “Ecco che cosa ha fatti Biden. Ora ditemi se non vi manco! Se fossi stato io presidente non ci sarebbe avanzata dei talebani!”.

Il presidente Biden, tuttavia, non arretra di un solo passo circa la decisione di lasciare l’Afghanistan a sé stesso (contro il parere degli esperti del Pentagono e della CIA), dopo essersi trovato in eredità una vera e propria patata rovente, lascito di un altro esperto nel combinare guai planetari, ovvero George Bush jr. Forse è stato un errore di valutazione a proposito delle capacità dell’esercito afghano, un errore che costerà senza dubbio troppe vite, come già è stato negli anni precedenti, dimostrando che gli oltre 80 miliardi di dollari spesi dal 2002 per assistenza e addestramento, sono stati letteralmente buttati nella spazzatura, ma un errore che certo nono si può imputare al solo presidente. Ora l'Afghanistan può tornare ad essere un porto sicuro per i terroristi di Al-Qaeda o dello Stato Islamico, per altro creature una di Mosca, l’altra di Washington. Due golem che si sono rivoltati contro il proprio creatore.

Intanto, dopo un serrato briefing alla Casa Bianca col segretario di stato Antony Blinken e il consigliere per la sicurezza nazionale Jack Sullivan, Biden ha dato il via libera all'invio di circa 8.000 soldati per proteggere l'evacuazione del personale diplomatico e dei cittadini americani ancora in Afghanistan, e a chi chiede se le nuove truppe a Kabul resteranno anche dopo il 31 agosto, data fissata per completo ritiro, il Dipartimento di Stato fa orecchie da mercante. Nel frattempo la situazione nella sede diplomatica Usa a Kabul viene descritta dai testimoni come molto più drammatica di quanto non si dica ufficialmente. Tutti, a Kabul, si preparano al peggio. Mentre il capo negoziatore Usa al tavolo coi talebani, racconta il New York Times, starebbe cercando di convincere i leader islamici a risparmiare e non attaccare l'ambasciata, promettendo aiuti finanziari e assistenza al futuro governo afghano anche se dovessero farne parte i talebani stessi. La vergogna non ha mai fine.

Nel frattempo, i Paesi occidentali, molti dei quali hanno preso parte alla coalizione internazionale, Italia compresa, brancolano nel buio, una oscurità che fa notevolmente comodo, mentre l’avanzata dei Talebani coincide con la fuga di decine di migliaia di persone che temono, a ragione, la vendetta contro chi ha collaborato a qualsiasi titolo con le truppe delle varie coalizioni che si sono alternate in una delle più lunghe e fallimentari operazioni militari che si ricordino.

Quello che dovrebbe suscitare indignazione, e che invece scompare incredibilmente dalla scena, è la catena degli errori e delle responsabilità che fanno da contorno a questa situazione. Guerre umanitarie, in nome della democrazia, guerre costruite e giustificate sulla base di prove false (come le fialette mostrate in tv dal segretario di stato Colin Powell nel febbraio 2003).

Oggi, a vent’anni dall’attacco all’Afghanistan, e a quasi venti dalla seconda guerra in Iraq, il bilancio è drammaticamente negativo, non solo per l’Afghanistan del periodo Bin Laden, nonostante i piloti degli aerei che si schiantarono sulle torri gemelle e sul pentagono fossero quasi tutti sauditi. Anzi, con regno Saudita i rapporti sono rimasti ottimi, e in questo il nostro Paese recita la sua solita parte di gregario/cagnolino, con la ripresa della vendita di armamenti (per altro largamente incostituzionale), dopo che Draghi ha cancellato il provvedimento del secondo governo Conte che aveva messo fine a quella vergogna. L’Occidente mostra apprensione per il destino dell’Afghanistan, ma è una manifestazione che ha il sapore di una smaccata ipocrisia.

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