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Afghanistan – Il disperato appello di Tamana

Assadakah News - Si chiama Tamana Zaryabi Paryani e appartiene a un gruppo dal nome traducibile come “Cercatori di Giustizia” che ha organizzato diverse manifestazioni a Kabul. Tamana pare sia scomparsa, non si hanno più notizie. Parlare di lei significa rimarcare la pericolosità del regime talebano, al punto che financo usare un tempo verbale certo per riferirvisi diviene impossibile. Dopo una irruzione dei talebani in casa sua, dell’attivista e delle tre sorelle si sono perse le tracce. Un portavoce dell’intelligence talebana ha dichiarato in merito che “insultare i valori religiosi e nazionali del popolo afghano non è più tollerato”.

“Non è più tollerato” scrive su Twitter Khalid Hamraz. Il messaggio è chiaro: è meglio non opporsi. Non c’è libertà di espressione, ma solo una serie di imposizioni cui adeguarsi, davanti alle quali dissenso non è un’opzione contemplabile, non è tollerabile. Il riferimento è alla protesta organizzato dal gruppo di Paryani contro l’obbligo del velo islamico. Tamana vi aveva partecipato nella domenica precedente, assieme a circa altre 25 donne, chiedendo maggiore libertà per le afghane.

Alla manifestazione le donne hanno gridato: “Giustizia” e bruciato un burqa bianco. Un affronto, questo, agli occhi dei talebani, troppo plateale per passare impunito. Dopo aver bloccato tutte le manifestazioni per i diritti fondamentali, che durante una di queste si bruci un simbolo del fondamentalismo è intollerabile. I talebani hanno disperso la protesta sparando gas lacrimogeni sulla folla, ma il cerchio intorno a Tamana Zaryabi Paryani si è stretto. Fino alla sera del suo arresto. Il silenzioso disinteresse dei talebani a giustificare quanto avvenuto all’attivista fa rumore. “Così è come vanno le cose. C’è poco da chiedere scusa” sembra suggerire il tweet di Khalid Hamraz.

Tamana teme per le sue sorelle più che per sé stessa. Nel breve video girato poco prima di essere portata via, i talebani alla porta e la voce strozzata, questo è evidente. “Vi prego di tornare domani, se volete parlare: non posso vedervi stasera con le ragazze qui” chiede. In un Paese dove è sempre più difficile essere bambine e donne, Tamana vuole ricevere i talebani da sola. E non rischiare che altre donne, le sue sorelle, ne subiscano le conseguenze. L’attivista chiede aiuto, ma nessuna voce si leva in suo soccorso. Solo quella dei talebani che ordinano di aprire la porta e i singhiozzi delle sorelle in sottofondo riempiono la stanza. L’unico testimone oculare a parlare, mentre racconta di aver visto i talebani armati salire le scale, chiede di mantenere l’anonimato.

Quando la linea del tollerabile si assottiglia, l’omertà smette di significare collaborazionismo, aderendo in maniera lugubre alla sopravvivenza. Perché basta poco per essere presi di mira. Nel bersaglio gruppi per i diritti umani, giornalisti e tante, tantissime, donne.

“Sono seduta qui ad aspettare che vengano. Non c’è nessuno che aiuti me o la mia famiglia. Sono solo seduta con loro e mio marito. E verranno per persone come me e mi uccideranno” ha dichiarato Zalifa Gahari, eletta sindaco di Maidan Shar. La donna è scampata a diversi attentati e suo padre è stato ucciso dai talebani davanti la porta di casa propria. E ancora, il vuoto intorno a una donna il cui unico scopo è stato quello di fare il bene del proprio territorio. Intorno a una donna costretta a scappare, a darla vinta, a perdere la propria battaglia per salvare la propria vita.

La voce del dissenso fa paura, specie se a levarla è un membro di quella categoria sociale discriminata e dequalificata. L’unico modo per evitare che venga sentita è metterla a tacere. Allora si torna indietro, al primo regime talebano. Le donne non possono viaggiare da sole per più di 72km o ascoltare musica, annullate nella loro essenza. Questo non si può più tollerare.

È un episodio, ma è anche l'emblema di quanto sta succedendo nel paese in cui ogni giorno le donne hanno meno diritti. Paryani era tra donne, circa 25, che hanno preso parte a una manifestazione contro il velo islamico obbligatorio. Uomini armati hanno fatto irruzione nell'appartamento che condivide con le sorelle.

I talebani non hanno imposto il burqa, obbligatorio invece negli anni Novanta, ma hanno imposto regole sempre più restrittive alle donne da quanto sono tornati al potere lo scorso agosto. Alle donne è stato imposto di indossare l'hijab, è stato loro vietato di muoversi da sole entro un determinato chilometraggio, non possono apparire in programmi tv. Tutto punta a escludere le donne dalla vita sociale. Nelle province settentrionali di Balkh e Herat alle donne è stato negato l'accesso negli hammam, i bagni pubblici che per molte sono l’unico modo per potersi lavare.

Come e più del resto della popolazione le donne sono strette nella morsa della povertà, costrette a vedere i loro figli morire. Save the Children riporta che il numero dei bambini malnutriti è raddoppiato da agosto a oggi. Nel solo mese di dicembre circa 40 bambini gravemente malnutriti sono morti prima di poter raggiungere l’ospedale. Henrietta Fore, direttore generale dell’Unicef, ha raccontato di «rapporti credibili di famiglie che offrono figlie di appena 20 giorni per un futuro matrimonio in cambio di una dote». Servono i soldi per comprare cibo.

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